Ultimo aggiornamento: 29 Gennaio 2019
Fiscalità, burocrazia e tasse: ecco tre terribili parole per chi vuole aprire una attività, parole che in Italia sembrano ancor più cattive, per una fiscalità un po’ contorta e per un livello di tassazione che rispetto a molte altre nazioni risulta faticosamente elevato.
Queste terribili tre parole e i problemi ed esse collegati sono (almeno a parole) ben chiari anche alla classe politica, che da anni si spreme per trovare soluzioni, più o meno creative e raramente risolutive, a queste tematiche. Le tre soluzioni, le facilitazioni fiscali per giovani che vogliono aprire un bar (e i meno giovani) individuate sono state denominate:
In questo post proveremo ad esaminare queste tre forme di fiscalità agevolata per chi vuole aprire un locale, e capire quale forma, aggiornata al 2019, è più conveniente.
Chiariamo intanto un concetto: quando si parla di tasse da pagare per aprire una attività commerciale e di fiscalità agevolata parliamo sopratutto delle cosiddette “tasse sull’utile” vale a dire le tasse che si pagano quando, a chiusura di bilancio, si evidenzia un’utile di bilancio, vale a dire sul guadagno, tolte le spese della attività.
Queste “tasse sull’utile” si aggirano, su una normale attività, intorno al 30% (dell’utile appunto) anche se possono variare di alcuni punti percentuali a seconda del tipo di impresa (individuale, società di capitali o di persone etc..) e a seconda di altri parametri.
In pratica, se il fatturato del nostro bar a fine anno è 100, e abbiamo speso 70, avremo un’utile di 30, e su questo pagheremo 9 di tasse sull’utile, mettendo in tasca quindi 21.
Vediamo a questo punto di capire cosa sono e come fanno cambiare la tassazione i sistemi di fiscalità agevolata.
Una precisazione innanzitutto: nella prima parte del 2019 questo regime fiscale è stato di fatto sostituito dalla “Flat tax” ne parliamo quindi solo per completezza di informazione e per chiarire eventuali dubbi. Più avanti in questo post parleremo di come funziona l’apertura di un bar con sistema flat tax.
A questo regime, il forfettario, possono (o potevano) aderire solo attività che, nel caso di bar, locali o comunque ospitalità, avevano un fatturato al di sotto dei 50.000€ (nel caso di un bar aperto sei giorni a settimana, e con una settimana di ferie siamo intorno a 160€ al giorno di fatturato al netto IVA).
Da questo regime si può entrare ed uscire, in pratica se il nostro fatturato scende per un’anno sotto i fatidici 50.000€ è possibile chiedere di passare, l’anno successivo, al regime forfettario, così come, superandolo, l’anno dopo saremo chiamati a passare alla fiscalità ordinaria.
Usando questo regime l’attività è esentata dal calcolo di IVA, IRPEF e dai cosiddetti “studi di settore per i bar” in quanto tutti i costi vengono calcolati “a forfait “ e viene dato un “indice di redditività per bar” vale a dire un calcolo medio di quanto sono gli utili per una certa categoria di impresa. L’indice di redditività di bar, pizzerie, gelaterie, alberghi e simili è del 40%
Anche se questo sistema è praticamente scomparso proviamo a fare un’esempio riguardante la nostra categoria:
Detto di questo esempio, è necessario anche dire che condizioni fondamentali per accedere e per rimanere nel regime forfettario sono la necessità di non acquistare beni strumentali (macchine, software, arredamenti etc.) per più di 20.000€, e di non avere dipendenti.
Facile Capire come sia molto difficile accedere al regime di tassazione forfettario per un bar. 50.000€ di fatturato sono infatti decisamente pochi per la maggior parte dei locali (la maggior parte delle volte si fa la fame) e è molto difficile aprire una attività con un limite di acquisto di beni di 20.000€ (limite che peraltro comprende anche i comodati di uso…).
Regime ancora in uso nel 2019, ma decisamente difficile da utilizzare per un locale, è quello dei minimi.
Per accedervi il fatturato deve essere inferiore a 30.000€ annui. Questo regime può essere utilizzato solo per 5 anni e chi vi accede deve avere meno di 35 anni o più di 55. Fra le altre limitazioni: non si possono avere dipendenti, non si può essere soci in altre attività e (anche se questo per i bar è un problema relativo) non si può fare export.
Come nel caso della flat tax, che vedremo fra poco, la tassazione sull’utile sarà al 15%.
Eccoci all’ultimo nato nel mondo della fiscalità, nel 2019. Come i giornali ci hanno spesso ricordato vuol dire tassa piatta e dovrebbe richiamare l’idea di una tassa facile e comprensibile.
Rispetto al regime forfettario alza il fatturato massimo sotto cui bisogna collocarsi: 50.000 a 65.000€ ( dal 2020 si parla anche di una aliquota al 20% per fatturati sotto i 100.000€) per cui l’incasso netto del nostro bar tipo aperto 300 giorni all’anno sale a 215€ circa, un po’ più vicino alle medie dei bar “dell’angolo” che vanno da 300 a 350€ al giorno.
Anche qui, come nel caso del regime forfettario si eviteranno incombenze come il calcolo di IRAP, IRPEF, IVA e studi di settore.
Per il calcolo delle tasse di un bar con la flat tax dovremmo prendere il fatturato netto annuo, moltiplicarlo (come nel caso del regime forfettario) per 40% (coefficiente ATECO della ristorazione) e sottrarre l’eventuale INPS. Il rimanente andrà moltiplicato per il 15%, la tassazione che pagheremo.
Per tornare all’esempio precedente, possiamo dire che il bar di Antonio nel 2019 è cresciuto, fino ad un 63.000€ , accederà quindi, con il supporto del suo commercialista, alla flat tax, vediamo, a questo punto quanto paga di tasse con il suo bar.
Anche se appare decisamente conveniente, è necessario pensare che utilizzando la flat tax perderemo alcune detrazioni altrimenti possibili a livello personale, come per esempio quella di un mutuo sulla casa, le spese di eventuali lavori di ristrutturazione o la detrazione dovuta ad una eventuale polizza assicurativa.
Anche nel caso delle Flat Tax, come per il regime forfettario, l’attività per cui si chiede l’adesione al regime fiscale agevolato deve essere la nostra unica attività e non devo essere riconducibile a vecchia attività come dipendente o proprietario; non si può quindi chiudere una attività per aprirne un’altra solo per rientrare nel regime agevolato.
I regimi agevolati sono, a parere dei commercialisti, molto buoni per professionisti e start up, molto meno per attività come la ristorazione che spesso hanno in realtà utili molto più bassi del 40%, e che spesso hanno bisogno di personale. Insomma, non è ancora, per la nostra categoria, la soluzione perfetta.