Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio 2014
Una nazione lontanissima e misteriosa, ma con regolamenti curiosamente uguali ai nostri; come si fa, dal punto d vista di leggi, regolamenti e burocrazia, ad aprire un bar in Cina?
E’ sicuramente un post molto curioso questo; non inusuale per il nostro blog, visto che ci occupiamo di aperture di bar e locali e abbiamo già visto come aprire un bar in Inghilterra e in Spagna ma... stavolta ci occupiamo di una nazione lontanissima, al centro dell’attenzione e, per molti versi davvero misteriosa,
In un recente viaggio abbiamo infatti seguito l’apertura di una catena di coffee shop proprio in Cina, a Guangzhou, e abbiamo potuto parlare con il proprietario, un canadese, di questa catena.
Se forse questo post può essere interessante (anche se troveranno di meglio da leggere) soprattutto per le aziende italiane già strutturate e forti, in questi anni abbiamo incontrato almeno due ragazzi che, per amore, stavano pianificando di trasferirsi nel paese del celeste impero, diciamo che lo dedichiamo a loro, e a chi vuol farsi un giro lontano lontano.
La prima cosa che è emersa nella nostra chiacchierata è andata a sfatare una diceria che in Italia abbiamo sentito molte volte, ma che il signor Newman dice non essere assolutamente vera: per aprire una azienda o una attività in Cina non è obbligatorio avere un partner, un socio, Cinese, e tantomeno al 51%; semmai un socio ci può essere utile per l’aspetto finanziario, come in ogni altra nazione, ma non per legge.
Finanziario abbiamo detto, e questo è aspetto molto importante, perché la legge cinese chiede che il capitale necessario all’operazione sia trasferito da una banca straniera e depositato in una cinese.
Se ci lamentiamo della burocrazia di casa nostra, c’è da dire che quella cinese non sembra da meno. Anche qui è necessaria la registrazione dell’impresa, il tax number (diciamo la partita IVA) e un certificato sanitario; quest’ultimo sembra essere molto stringente, ogni dipendente deve passare una visita che include radiografie e una analisi del sangue, e deve essere rinnovato ogni anno, alla fine un po’ come il vecchio nostro libretto sanitario.
Altra burocrazia, la più costosa e, secondo Newman, complessa, è quella inerente la fire licence, la prevenzione degli incendi; fra le norme che la regolamentano il divieto di installare porte scorrevoli, perché in caso di incendio si bloccherebbero, non permettendo l’uscita delle persone. Nel sud della Cina, zona semitropicale e quindi soggetta a tifoni, è molto complessa anche la normativa inerente le insegne da porre fuori dal locale; per queste bisogna presentare un progetto adeguato ad evitare che i fortissimi venti dei tifoni possano sradicare l’insegna trasformandola in un pericolo per le persone.
Se fin qui le cattive notizie vediamo le buone, almeno rispetto al nostro paese. La parte burocratica prende tempo, in media 2/3 mesi, ma non è particolarmente difficile e cavillosa, le normative sono chiare e sembra che siano sempre le stesse, senza le interpretazioni diverse da provincia a provincia che sono tipiche della nostra Italia. Alla prossima puntata, quando parleremo delle location, e soprattutto del dilemma se aprire in un centro commerciale o lungo una strada di transito.
4 Comments
interessante. aspetto il prossimo
[…] la prima puntata dedicata alla burocrazia (che trovate qui), nella seconda puntata della nostra piccola passeggiata fra esperienze e suggerimenti per aprire […]
[…] due post dedicati a come si apre un locale nell’antichissimo Celeste Impero, un post dedicato alla burocrazia, e uno dedicato al marketing e alle […]
[…] giro per il mondo poi, c’è da ricordare una curiosa esperienza in Cina, dove potemmo vedere, nella documentazione di una caffetteria, un fascicolo dedicato al modo in cui l’insegna era stata costruita e […]