Ultimo aggiornamento: 28 Marzo 2017
Il tè, nonostante tutto, rimane il grande sconosciuto dei bar italiani. Almeno il 95% dei nostri pubblici esercizi alla rara richiesta di un tè si limitano a infondere una bustina datata in una teiera sbertucciata, quando non direttamente nella tazza da cappuccino riempita d’acqua.
C’è da dire che il bar italiano, spesso molto rapido nelle dinamiche di consumo, mal si concilia con i tempi lunghi e calmi della bevanda più british del mondo. Negli anni ’80 furono molti i locali che cercarono un nuovo percorso nelle sale da tè (o the o tea, come a volte si trova sui menù), ma solo pochi hanno davvero attecchito in questo senso. Ciononostante, anche in Italia gli estimatori di questo infuso sono molti e val la pena di farsi un minimo di cultura sull’argomento.
Esemplificando al massimo possiamo dire che i tè vengono di solito divisi in nero e verde. Per comprendere la differenza dobbiamo guardare come il tè viene lavorato, il documentario qua sotto non è un granchè, ma in Italiano non abbiamo trovato niente…
Una volta raccolte, le foglie di tè vengono sottoposte alla rollatura, cioè alla “rottura” delle fibre della pianta stessa.
Questa “rottura” provoca l’inizio di un processo di ossidazione per il contatto fra le cellule della foglie e l’aria. Parlando sempre in maniere che farà inorridire qualsiasi vero cultore del tè possiamo dire che se l’ossidazione viene lasciata andare avanti otterremo quello che si definisce tè “nero” o, appunto, fermentato. Nei tè verdi invece questa fermentazione viene bloccata di solito scaldando le foglie su delle placche calde o, nel caso del famoso tè Sencha Giapponese, con un bagno di vapore.
Il tè Pai Mu Tan è un raro tè bianco, che non subisce alcun processo ossidativi e che è caratterizzato da una grande leggerezza e soavità. F
6 Comments
E’ vero Gabriele, che molti baristi alla richiesta di un te’, non fanno mai i salti di gioia e spesso da come te lo preparano, ti fanno capire che se lo vai a prendere da un’altra parte, quasi quasi gli fai un favore. C’e’ poi da dire che da noi manca proprio la cultura anche da parte del cliente, il quale a volte chiede i ghiaccio per raffreddarlo, oppure chiede di cambiargli la tazza perche’ il the’ e’ troppo bollente, oppure hai cento gusti di the’ diversi, chiedono sempre quello che non hai.Per ultimo, ti racconto questa, ogni tanto mi piace fare colazione al bar con il the’, la cosa che mi fa’ imbestialire di piu’, e’ che arrivva immacabilmente un amico che dandoti una pacca sulle spalle ti chiede: come mai prendi il the? Stai poco bene?Ed io rimango senza parole. Quindi per entrare nella cultura del the’ bisogna ancora farne di strada. Alla prochaine. Mimmo
Io adoro il the e questo articolo è davvero interessante. E’ tutto vero, dalle parole di Gabriele al commento di Mimmo, infatti mi piace provare nuovi gusti e amo il the “buono”, ma è davvero difficile trovarlo; i bar non sono attrezzati e dalla parte del cliente dico che non è facile berlo in fretta, bollente e che bisognerebbe inventare qualcosa per ovviare a questo problema (ma per carità, niente ghiaccio nel the!!!!) 🙂
Ciao
Sì, credo che questo sia il punto principale; i tempi lunghi del tè raramente si sposano con la velocità di fruizione (accidenti come sono fine oggi!) dei bar italiani….
Comunque un po’ di conoscenza di queste preziose foglie può nobilitare anche le rare richieste di un tè che ci arrivano; almeno potremmo gestirle con proprietà: di linguaggio e di procedura di servizio. Anche questo fa la differenza.
… mi ricordo i tè sorseggiati sui tappeti nelle moschee di Damasco… che nostalgia ragazzi…
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Molto interessante il sito, ho trovato molte info utili. Grazie.
Colgo l’occasione per segnalarvi che ho appena frequentato un corso per TEA SOMMELIER organizzato da Ademathè l’Associazione Italiana dei Degustatori e dei Maestri del Thè. Veramente dei grandi professionisti. Lo consiglio a tutti quelli che vogliono approfondire l’argomento.
Questo il loro sito: http://www.maestridelthe.it