In questi ultimi mesi abbiamo visto crescere il prezzo del caffè verde fino a raggiungere il culmine. A confermare il forte aumento sono i dati dell’ICO (International Coffee Organization) , dai quali si evince che negli ultimi mesi i prezzi sono saliti raggiungendo il picco a Febbraio 2022. Le cause di questo aumento sono molteplici e da riscontrare tra: i vincoli logistici, il gelo in Brasile e l’instabilità in alcuni Paesi produttori che hanno ostacolato gli approvvigionamenti. Tutto questo ha portato ad un conseguente e inevitabile aumento delle quotazioni negli ultimi mesi. Tale dinamica di forte rialzo dei prezzi comporta un’inevitabilmente aumento dei listini dei torrefattori e probabilmente anche dei prezzi di vendita al consumo, è questa la realtà che stiamo vievendo nel mondo del caffè, fra aumenti e tensioni di prezzo di vedita, proposte, offerte e accordi tra torrefattori e baristi, ma scopriamone di più leggendo questo articolo.
Quanto è aumentato il prezzo del caffè verde? Scopriamo assieme di quanto è aumentato il prezzo del caffè verde. I dati dell’indice ICO ci indicano che i prezzi del caffè sono aumentati ancora a Gennaio 2022, raggiungendo i 204,29 centesimi di dollaro USA per libbra (considerando che 1 libbra corrisponde a 0,45 kg) e arrivando ad un picco a Febbraio 2022, toccando la soglia di 210,89. Successivamente con il mese di Marzo 2022 abbiamo assistito ad un lieve calo rispetto al picco del mese precedente, per quest’ultimo mese si registra infatti 194,78. L’indicatore composito ICO dei prezzi del caffè ha svelato un aumento continuo di mese in mese per molti mesi consecutivi. Complessivamente si evince che nell’ultimo anno i prezzi sono aumentati di oltre il 70%.
Quali sono le cause dell’aumento del prezzo del caffè verde? Le cause sono molteplici, una concatenazione di eventi e fattori che ci hanno condotto alla situazione attuale. Secondo l’ICO , l’Organizzazione Internazionale del Caffè, per il 2021-22 la situazione vede riduzioni nell’offerta dei principali produttori, quali Brasile e Colombia, e un parziale aumento dell’approvvigionamento da altre origini: infatti le esportazioni del Sud America sono diminuite di circa un quarto (-24,4%) e il trend sembra poter continuare nel corso nell’anno. Inoltre la maggioranza degli analisti e operatori nel settore del caffè concorda sul fatto che a partire dal 2022 è previsto un deficit produttivo.
Tra le cause di questi prezzi possiamo ritrovare: gli eventi climatici, in particolar modo un forte gelo in Brasile avvenuto a Luglio, l’instabilità in alcuni Paesi produttori e infine i vincoli logistici (dovuti anche alla pandemia di Covid-19 che ha limitato la movimentazione dei carichi). Tutti questi fattori hanno portato a un’imminente carenza di approvvigionamento, che ha a sua volta portato a un forte aumento dei prezzi degli ultimi mesi. Assistiamo così ad un aumento dei prezzi tanto significativo da arrivare a livelli che non si erano mai visti negli ultimi 10 anni.
In termini di causa-effetto, vediamo cosa comporta un incremento così significativo dei prezzi, a partire dall’origine della produzione, scopriamo le reazioni che si susseguono, fino a giungere all’acquisto di una tazzina di caffè al bar. Vediamo come questi aumenti, che partono dal principio, e quindi dalla piantagione, si riflettono sul prezzo del caffè al kg al bar. Come funziona questo meccanismo? Semplicemente la torrefazione paga di più il caffè alla piantagione da cui proviene, e questa spesa maggiorata si riversa sull’aumento del prezzo di vendita del caffè tostato ai vari bar con cui collabora.
Quando si parla di tostatura del caffè e di prezzo al kg, c’è un altro importante fattore da tenere in considerazione: la perdita di peso. Il caffè verde infatti, durante il processo di tostatura perderà una percentuale di peso compresa fra il 12 e il 20% a seconda del livello di tostatura. Questo calo è dovuto in larga parte alla percentuale di umidità del verde, che varia fra il 9 e il 12% e che naturalmente evapora durante la tostatura. Inoltre a perdersi saranno, sopratutto nella fase finale della tostatura (la cosiddetta fase esotermica) alcune sostanze, come i carboidrati e le cellulose del caffè, fino ad arrivare appunto ad un consistente calo di peso del prodotto.
Inoltre il barista che ha come suo fornitore un determinato torrefattore, dovrà tenere in considerazione tutto il lavoro che lo precede, e quindi anche le spese economiche complessive che deve sostenere una torrefazione: costi di spostamenti, logistica, tostatura (con i costi del gas in continuo aumento) eventuale macinatura, imballaggio, movimentazione merci e via dicendo.
Il prezzo della singola tazzina di caffè espresso al bar si compone insomma a partire da tutte queste spese e da tutto il lavoro che inizia nei paesi di origine.
A questo punto siamo all’ultimo passaggio della catena, quello che forse ci interessa di più: aumentare i prezzi del caffè al bar? Aumentare il prezzo della tazzina di espresso?
Sappiamo bene che è un tema caldissimo, discusso addirittura nei talk show televisivi e su tutti i giornali; un tema che va al di là del prezzo del caffè, e investe l’abitudine radicata di molti clienti, il concetto dell’espresso come servizio (e non come esperienza) il limite psicologico dell’Euro tondo e infine la strana percezione italiana di considerarsi tutti maestri del caffè.
Partiamo dalla considerazione che questi aumenti saranno probabilmente ineludibili, i rincari sulla filiera comportano conseguenze per tutti gli attori, le torrefazioni sono costrette ad aumentare i prezzi e per non rischiare di mangiarsi i (già magri) utili anche i bar, purtroppo, dovranno adeguarsi.
Eppure si dice da anni che il prezzo della tazzina è troppo basso, e forse oggi possiamo finalmente cogliere la palla al balzo per scardinare questa situazione.
L’economia, il marketing ci dicono che si può aumentare il prezzo di un prodotto riuscendo a far percepire un miglior valore, dandogli valore. Il mondo del caffè si è già avviato da tempo su questo percorso, con il mondo del caffè specialty.
Questa situazione in cui il barista è quasi costretto ad aumentare i prezzi potrebbe esere una chance per aggiungere all’offerta dei caffè migliori: quelli specialty. Se ad un aumento di prezzo associamo anche un aumento della qualità dell’offerta dei prodotti proposti, il cliente senza farsi troppi scrupoli continuerà a frequentare il vostro locale. Questa nuova versione, migliorata, del vostro locale, con buona probabilità attierà molti clienti. Al contrario, un semplice aumento del costo dell’espresso potrebbe frenare i clienti più scrupolosi e portarli a preferire il caffè fatto in casa. Non dimentichiamo che durante la pandemia, moltissimi italiani hanno acquistato macchine espresso casalinghe, ma non dimentichiamoci nemmeno che il mondo del caffè specialty acquistato online ha fatto un balzo del 47%! Insomma, agli italiani, a casa, piace anche il caffè buono! E sono pronti anche a pagarlo di più, se il caffè è migliore.
Il mondo degli specialty coffee del resto è meravigliosamente affascinante e con qualche piccolo corso di aggiornamento, anche il più comune barista portà riuscire ad avere delle basi più solide per reinventare il suo lavoro, dando valore al suo locale. Una buona scuola di caffè, con istruttori qualificati e professionali come ad esempio: l’Espresso Academy di Firenze, saprà aggiornare e formare tutti i baristi più curiosi che intendono rimanere al passo con i tempi.
Vi auguriamo buona fortuna !
The post Aumentare il Prezzo del Caffè al Bar ? first appeared on Aprire Un Bar.]]>Risparmiare energia e aumentare l’efficienza del nostro locale è un aspetto fondamentale per ridurre gli sprechi ed aumentare il guadagno complessivo a fine mese.
Se questo assunto può sembrare banale, è diventato più importante che mai in questo momento storico, dove l’inflazione e le tensioni internazionali stanno spingendo sempre più in su le bollette energetiche. Di fatto, in una società fortemente dinamica in cui la crescente domanda di energia ci procura incertezze e nella quale i cambiamenti climatici sembrano essere una problematica sempre più preoccupante, è ormai necessario prestare attenzione all’aspetto energetico. Vediamo in questo articolo come risparmiare, ottimizzare, aumentare l’efficienza e ridurre i consumi del nostro locale !
Cerchiamo insieme le migliori soluzioni per ridurre i consumi energetici del nostro locale ai minimi termini, cercando di ottimizzare le risorse in nostro possesso e diventando più sostenibili. Rivedere il proprio locale proprio in questa chiave, la possibilità di non consumare (troppo) energie non rinnovabili, ci porta a mettere in luce i punti critici e risolvendo le problematiche di spreco energetico, in modo tale da ottimizzare e risparmiare energia preziosa è di cruciale importanza. Aggiustare, ristrutturare, fare manutenzione, trovare piccoli trucchetti e infine avere sempre la sensibilità e la voglia di migliorarsi sotto questo aspetto.
Come faccio a rendere competitivo dal punto di vista green e sostenibile il mio locale? Per prima cosa partendo da un approccio gestionale alla ristorazione più sostenibile, finalizzato a ridurre gli impatti negativi sull’ambiente e ad incrementare i vantaggi di natura socio-economica. Scegliere fornitori sostenibili è un’altro passo da poter compiere. Utilizzare fonti di energia ecosostenibile (pannelli fotovoltaici, classe A+++, biomasse…). Informare e sensibilizzare la propria clientela dei miglioramenti che si stanno facendo e del proprio impegno sostenibile in modo da guadagnare maggiore fiducia e stima da parte del cliente. Infine, ovviamente, non sprecare mai nulla !
Come promesso adesso vedremo i 10 modi per risparmiare energia in un locale :
Nel post di oggi abbandoneremo il mondo bar per andare a ragionare su un argomento che diversi lettori ci hanno chiesto leggendo articoli simili che avevamo scritto su altre tipologie di locali: come si scrive il business plan per una pizzeria.
Nell’abbandonare il mondo bar non ci sentiamo colpevoli, per un paio di motivi. Uno, perché negli ultimi anni si sfumano sempre più le differenze fra varie tipologie di locali ed è quindi immaginabile trovare un bar che abbia un banco per la pizza al taglio o al contrario una pizzeria che crei un’angolo aperitivo. Due, perché la pizza ci piace tanto!
La pizzeria, sia al taglio che quelle al tavolo, al piatto, resta davvero un modello di locale classico, ambito e di successo. Nonostante sia un prodotto più che insito nella cultura italiana, quindi senza grandi margini di incremento nei consumi, continua comunque a crescere, per l’esattezza del 2,4% nel biennio 2018/19 (dati “Il messaggero”) dato ancora più importante, se consideriamo la sempre maggiore importanza che si da ad uno stile di vita sano, di cui la pizza non sempre farebbe parte (il consumo di pane per esempio è crollato negli ultimi vent’anni).
Anche dal punto di vista imprenditoriale l’idea che vendere la pizza fa guadagnare resta molto radicata: la pizza costituisce una cena e un momento di incontro più economico rispetto al ristorante, e, avendo bassi costi di materie prime, dovrebbe permettere di guadagnare.
Ecco, quest’ultima affermazione non è sempre del tutto giustificata, di questo parleremo entrando nell’argomento del nostro post: come si scrive il business plan per una pizzeria.
Prima di partire una distinzione importante che facciamo spesso durante i nostri corsi di apertura e gestione locali (e le pizzerie sono locali!). Quando si sta pensando di aprire una attività, anche di rilevare una pizzeria, bisogna pensarci bene, e pensarci in modo analitico, valutando bene pro e contro, concorrenza, punti di forza, nostra professionalità e entrate e uscite.
Ecco, questo non è il business plan normalmente detto, bensì una analisi economico/finanziaria che ci permetterà di valutare criticamente la nostra idea: funziona o non funziona? Se i dati ci dicono di no, che non funziona, dovremo essere abbastanza furbi e forti da desistere dall’idea (non è facile…) magari per cercare una diversa location o per migliorare la nostra professionalità.
Se invece ci dicono che potrebbe ragionevolemtne funzionare potremmo trovarci a dover cercare fondi, finanziamenti, magari in banca o presso un bando di finanziamento privato (o ancora con il crowdfunding) e allora si che ci servirà un business plan, che spiegherà la nostra idea e convincerà gli investitori. L’analisi economica deve essere più neutra possibile, il business plan deve essere convincente!
Nei prossimi passaggi valuteremo gli elementi che ci serviranno per tutte e due i passaggi: l’analisi economica e il business plan.
Pronti per stendere il business plan del nostro locale per la pizza, ma prima una considerazione importante: cosa vogliamo analizzare o redarre? Vogliamo scrivere il business plan per una pizzeria a taglio? O il nostro obiettivo sarà aprire una pizzeria con tavoli, tovaglie e camerieri? Qualche riflessione a caso sull’argomento…
Fatta la nostra scelta? Andiamo avanti.
Le cifre, gli incassi e le spese, sono conseguenza di una serie di scelte (o di non scelte): per questo, prima di entrare nel merito dei numeri, sarà importante focalizzare il nostro progetto (e spiegarlo se stiamo preparando un business plan per un investitore) con una serie di valutazioni sul progetto che ci permetteranno di dare una struttura alla nostra idee e valutarne la fattibilità.
In questa sezione discorsiva ci saranno alcuni capitoli, vediamoli.
La nostra idea: In questo capitolo andremo ad analizzare la nostra idea, e capirne le possibilità vere. Partiamo dall’idea di voler aprire una pizzeria a taglio gourmet? Avremo il target giusto? La location che abbiamo individuato vede molto passaggio di ragazzini che sono generalmente meno focalizzati su una pizzeria di alto livello e preferiscono würstel e patatine? Altri imprenditori hanno avuto la stessa idea? La loro è stata una storia di successo o un fallimento? Cosa possiamo imparare dai loro errori?
Le nostre capacità: chi siamo noi? Se vogliamo aprire una pizzeria gourmet abbiamo le capacità per farlo? Sappiamo tutto su impasti, forza, alveolatura, temperatura dell’acqua nell’impasto? Abbiamo provato 27 tipi di salsiccia diversa per individuare la migliore per i nostri clienti? Abbiamo già lavorato (e magari abbiamo già gestito una pizzeria/attività di ristorazione?) in parole povere, siamo i giusti manager per il nostro business o dobbiamo ancora costruirci?
La concorrenza: ci sono altre pizzerie e magari pizzerie come la nostra in zona? Che caratteristiche hanno? Che tipo di pizza fanno e che clientela attraggono? Noi possiamo competere con loro o dobbiamo cercare una nostra nicchia (per esempio con una pizza napoletana, oppure una pinsa romana)?
Gli orari e organizzazione: a che ora apriremo e chiuderemo? Magari lo abbiamo capito stando molto tempo davanti alla nostra saracinesca, vedendo che tipo di persone passano e quando passano. Quanti dipendenti avremo, se ne avremo? A che ora cominceranno a lavorare? Quante pizze avrà il nostro menù? Saperlo ci permetterà di entrare nella sezione dedicata alle cifre con maggior consapevolezza.
Le due sezioni “di cifre” saranno dedicate una agli incassi e una alle spese, prima di arrivare ad una valutazione finale utile/perdita. Sarà importante mantenere quest’ordine, sapere prima gli incassi infatti ci permetterà di valutare il food cost.
La pizzeria dei nostri sogni esiste già e vogliamo rilevarla o la costruiremo da zero?
Nel primo caso nessun problema, a permetterci la valutazione degli incassi dovrebbero essere i corrispettivi e i bilanci che il proprietario della attività che andiamo a rilevare ci mostrano.
E se non ce li fanno vedere accampando magari ragioni di privacy? Bruttissimo segno, potrebbero avere debiti nascosti come capiamo in questo post da leggere con grande attenzione. Una certa omertà nel far vedere gli incassi del locale deve essere sempre interpretata come un brutto campanello d’allarme.
E se ci dicono che in bilancio c’è riportata una cifra, ma in realtà c’è di più? (ci siamo capiti…) per esperienza direi di crederci quasi sulla parola fino al 10/15% in più, dopo diventa pericoloso…
Secondo caso: la pizzeria che vogliamo aprire non esiste ancora, dobbiamo crearla da zero. A questo punto dovremo giocare un po’ alla Sherlock Holmes, indagare e vedere altre pizzerie simili a quella che vorremmo aprire e provare a fare un po di confronti. A guidarci nella determinazione degli incassi sarà l’analisi dello scontrino medio. Per chiarire il concetto poniamo che nella pizzeria un cliente viene a mangiare un trancio di margherita a 2 euro, poi un gruppo di amici si farà fuori 5 fette di pizza ai frutti di mare per un totale di 15€ (e a questo punto il nostro scontrino medio è 15€+2€= 17:2= 8,5€) e così via.
A questo punto moltiplichiamo l’importo dello scontrino medio che abbiamo individuato per quanti scontrini ha emesso la pizzeria esaminata (gli scontrini hanno sempre un numero progressivo che ci dice quanti ne sono stati emessi in giornata) e avremo una idea (magari con una verifica che dura alcuni giorni/settimane/mesi, più dati abbiamo e meglio è) di quanto potrebbe incassare il nostro locale.
A questo punto abbiamo i dati più o meno realistici (quanto realistici dipenderà dalla nostra capacità di analizzarli, da quanto tempo è durata la raccolta dei dati, su quanti locali l’abbiamo fatta e perfino sull’essere onesti con noi stessi…) è quindi il momento di cominciare a calcolare le spese, che possiamo dividere in tre grandi categorie:
I Costi variabili (food cost): Si tratta del costo degli ingredienti che usiamo per le nostre pizze, solo quello senza includervi anche il costo di acqua, elettricità o altra utility. Per fare un esempio di facile comprensione proviamo a fare l’esempio del food cost di una pizza margherita al piatto, diametro 33 cm, fatta con ingredienti di qualità media.
INGREDIENTE | COSTO PER UNITA’ | QUANTITA’ | COSTO PER PORZIONE |
farina | 0,70€ al chilo | 130 gr | 0,091 |
sale | 0.45€ al chilo | 4 gr | 0,0018 |
olio | 7 € al litro | circa 40ml | 0,28 |
lievito | 0,40 cent per 100 gr | 15 gr | 0,06 |
pomodoro | 0,70€ al chilo | 100 gr | 0,07 |
mozzarella | 6€ al chilo | 120 gr | 0,72 |
basilico | 0,06 € | ||
TOTALE COSTO INGREDIENTI (FOOD COST) | 1,28€ |
La nostra margherita ci costerà quindi, in ingredienti, 1euro e 28 centesimi. Come calcolare a questo punto il food cost in percentuale?
Poniamo che noi mettiamo la margherita in menù a 6€. Questo è il prezzo di vendita, che incorpora l’IVA, sottratta questa abbiamo il prezzo netto, di 5.45€. bene, 1,28 sarà il 23,5% (percentuale del food cost) di 5.45.
Se leggiamo i manuali di food and beverage management troviamo di solito indicazione di un food cost medio (che tenga cioè conto di tutte le voci in menù) del 30%, ma questo parametro può variare anche per le scelte del locale, magari pensato per prezzi popolari o come ambiente gourmet.
Per capire meglio il concetto di food cost comunque leggete bene anche questo post.
Se servite sopratutto pizze da asporto non dimenticatevi di conteggiare in questa fase anche il costo di scatole per l’asporto, eventuali kit di posate e magari bibite omaggio…
Costi semivariabili (personale). Una pizzeria a taglio può non aver bisogno di molto personale, basta il proprietario o poco più, discorso diverso per un locale con tavoli, cucina e camerieri.
Anche per una valutazione approfondita del costo del personale vi invitiamo a leggere questo post.
Costi di struttura o costi fissi: principe di questi costi è sicuramente l’affitto (la metratura ridotta potrebbe rendere minimi quelli di una pizzeria a taglio) le utenze (che se avremo un forno elettrico potrebbero essere rilevanti) le riparazioni etc… Come avevamo in un precedente post, se abbiamo una pizzeria con il forno a legna, dovremo calcolare il costo della stessa.
In una ricerca che facemmo all’epoca vedemmo come il costo della legna variasse da 10 a 16 € al quintale, mentre il consumo medio oscillava molto, da 20 a 100 kg di legna al giorno al secondo di quante pizze cuociamo.
La conclusione. A questo punto abbiamo un’idea di quanto si guadagna con una pizzeria, la nostra. Abbiamo infatti i dati dei possibili incassi, a cui sottrarre le spese, certe e incerte, fino ad avere una idea del possibile utile o perdita. E se c’è una perdita? Teniamone conto, forse, è il caso di cambiare progetto.
The post Come scrivere il Business Plan per Pizzeria first appeared on Aprire Un Bar.]]>Nel caso di oggi vediamo il tipico caso (davvero molto comune nelle grandi città) di un locale lungo e stretto, che a Milano dovrebbe ospitare una caffetteria all’americana.
The post Le consulenze di AprireUnBar: la caffetteria americana lunga e stretta a Milano first appeared on Aprire Un Bar.]]>Inutile far finta di niente, per il proprietario, la gestione del personale in un ristorante o in un bar può facilmente essere di importanti problemi, li elenchiamo brevemente, ma potete facilmente immaginarli:
Aspettate! Sento già (e giustamente) il coro di insulti da parte della larghissima categoria dei dipendenti della ristorazione (ad adesso, giugno 2018, circa 650.000 in Italia) che qui si trovano descritti solo come cattivi soggetti che danno solo fastidio all’attività! Assolutamente no! Sono una risorsa importante e decisiva, che in moltissimi casi apportano valore e ricchezza all’azienda, ma che, come gli altri settori della azienda vanno gestiti. vediamo come.
Cominciamo adesso a fare una analisi, un esempio di costo di un dipendente. In questa sezione tralasceremo gli aspetti relativi a discussioni, liti, vertenze, cattivi comportamenti verso clienti e colleghi e gli aspetti sul controllo della cassa, non ci interessano in questo ragionamento. Rimarremo invece su un ambito puramente gestionale: sul incidenza dello stipendio dei dipendenti sull’incasso di un bar e sulla produttività oraria.
Incidenza e fatturato appunto, perché il costo del personale è, nella gestione di un locale, un costo semivariabile, un costo, cioè, che può salire o scendere in relazione agli incassi, ma lo fa spesso “a scalini” e spesso non seguendo esattamente l’andamento degli incassi.
La prima cosa da fare per valutare il costo del personale in un ristorante o in un bar è calcolare il cosiddetto “monte ore” per farlo si costruisce una tabella oraria. Nel nostro esempio di costo del personale tracciamola così (magari allargatela per vederla meglio).
Come forse avete già capito, mettendo una “x” per ogni ora di un dato ruolo che dovrà essere ricoperto la tabella ci permetterà di capire quante ore di lavoro servono per portare avanti l’attività. In pratica si valuta quante ore dovrà coprire ogni figura professionale (barista, cuoco etc) e non ogni dipendente (quindi non Roberto, Silvia etc). Una volta fatta questa valutazione si contano le crocette e di arriva al cosiddetto “Monte ore”. Chiaro che più sarà giusto in fase di valutazione questo dato e meno brutte sorprese avremo quando il locale sarà aperto e ci accorgeremo che il costo del personale per un bar sarà molto più alto di quello che avevamo preventivato.
Inutile dire, come è facilmente comprensibile, che per valutazioni di questo tipo un po’ di esperienza male non fa, magari partecipando ad uno dei nostri corsi di una giornata sulla gestione del bar, adesso anche online?
Nel caso della tabella di cui sopra, le ore necessarie a portare avanti l’attività ogni giorno sono 32. Ma quanto costa un ora di lavoro ad un bar?
E’ un argomento complesso, sopratutto perché ha a che fare con le politiche del lavoro, che negli ultimi anni, in Italia, sono cambiate molto e sono ancora soggetti di forti polemiche. In maniera molto grossolana, potremmo ridurre il costo di un cameriere in un ristorante o di altre figure professionali simili, a queste quattro categorie:
Forse avrete capito che questa foto riguarda tutti i costi legati agli stipendi di camerieri, baristi e cuochi per bar e ristoranti. Se andiamo a spulciarla ci renderemo conto che una figura di 5° livello, piuttosto comune nella ristorazione, costa, per ogni ora di lavoro e tutto compreso (13°, 14°, ferie pagate, liquidazione, tasse etc.. ) 17,70€. Un costo molto alto che influisce molto nelle spese mensili di un bar! E’ evidente, che il barista si metterà in tasca al momento molto meno, circa 6,80€, altro (come appunto la 13°) si metterà in tasca in maniera differita. Il 35% circa saranno le famose tasse, definite in questo caso “cuneo fiscale”. A questo punto, se sommiamo le varie voci, per un ammontare di 160 ore mensili, una media oraria che useremo in questo esempio ci da un totale di costo di un dipendente di un bar o ristorante di circa 2800€.
Una volta visto il costo di un dipendente per un bar rispetto alla forma di inquadramento, vediamo di valutare l’incidenza sul fatturato di un dipendente.
I manuali su come si prepara il business plan di un ristorante ci dicono che per le spese mensili di un bar (o annue) ci sono alcuni parametri per un bilancio ottimali.
Ecco, per mantenere quest’ultimo dato su questi valori dovremo lavorare su due aspetti principali.
… e se c’è un picco di lavoro non previsto e non siamo ben coperti con i dipendenti? Beh, potrà capitare, sopratutto all’inizio dell’attività, quando ancora non abbiamo preso le misure; beh, in quelle fasi ci rimboccheremo le maniche coprendo il ruolo che manca. So che sembra cinico, ma i margini di guadagno di un ristorante sono bassi, bisogna prenderli!
Se la valutazione rapporto fra il costo di un dipendente e il fatturato di un locale è un dato abbastanza comune, più raramente viene valutata la produttività del dipendente di un locale.
Proviamo a fare, per entrare in questo concetto, l’analisi di una situazione tipo.
Un classico bar Italiano, diciamo il bar dell’angolo incassa circa 300/350€ al giorno (a questa classica tipologia di bar abbiamo dedicato questo post). In questo tipo di locale lavorano di solito due persone (molto spesso coniugi o familiari o comunque soci) che, considerando una apertura dalle 7 di mattino alle 20 e la compresenza dei due lavoratori in alcune fasi di picco, arrivano a mettere insieme un monte ore di 16/18 ore.
Non sempre è facile diminuire le ore di lavoro (il nostro socio deve pur riposarsi) ma possiamo provare alcune strategie per aumentare il fatturato di un locale, magari seguendo alcune indicazioni di questo post.
Nella maggior parte dei locali non è impossibile portare la produttività almeno a 24/25€ per ora di lavoro.
Per ultima, un’ultima tabella. Quella che trovate sotto è l’analisi (al 2012) della produttività per anno per dipendente da Starbucks e in altre catene come Mc Donald. Da Starbucks, appunto, il fatturato per anno per dipendente risulta di circa 90.000 dollari, che al cambio attuale sono circa 76.000€. Un bar Italiano ha invece una fatturato annuo per dipendente di circa 65.000/70.000€ certo, un cappuccino da Starbucks costa molto di più…
The post L’Incidenza del Costo del Personale in un Bar o in un Ristorante first appeared on Aprire Un Bar.]]>Aprire un bar è una buona idea? Conviene? Detto così sembra più una domanda da indovini con la palla di cristallo che una attenta valutazione di mercato. E’ per questo che proveremo a rispondere a questa domanda usando un’approccio diverso; cercando di fare una attenta e analitica valutazione del mercato.
Una valutazione statistica, basata sui dati che istituti come ISTAT e Confcommercio mettono a nostra disposizione ogni anno, statistiche che starà alla nostra visione imprenditoriale interpretare nella maniera migliore. Proviamo a farlo, esaminando i pro e nei contro dell’aprire un bar o un’altra attività commerciale.
Uno dei ragionamenti che spesso guidano chi sta decidendo di aprire una attività commerciale, è il vecchio assunto del “i bar non chiudono mai“. E’ in base a questa riflessione, di questa sensazione, che spesso si decide di aprire un locale invece di una profumeria o un ferramenta, ma è vero che i bar falliscono mai? E le tendenze future saranno ancora queste?
Secondo le statistiche più aggiornate che abbiamo trovato, in Italia ci sono al momento circa 710.000 attività commerciali. Di questi circa 135.000 vendono alimentari di vario genere, ma non fanno ospitalità (pasticcerie, panetterie, pescivendoli, negozi di alimentari, fruttivendoli eccetera).
Come è facile capire questa categoria del food è la più ampia, seguita dall’abbigliamento (115.000 punti vendita) dai negozi di arredamento (45.000) e dalle edicole/librerie/cartolerie (43.000) (dati della Associazione consumatori).
I locali legati all’ospitalità (bar, ristoranti, pizzerie, pub etc) sono invece, nel 2015, circa 315.000 (dati rapporto annuale Confcommercio) e nello specifico i bar propriamente detti sono 148.000.
In un calcolo complessivo quindi in Italia ci sono circa 1.025.000 attività; di queste, quelle legate all’ospitalità sono poco più del 30,5%, e i bar circa il 14,5%; una percentuale decisamente alta, se comparata alle altre attività.
Tutti conosciamo, fin troppo bene, la crisi che ha colpito il mondo e, duramente, il nostro paese dal 2008 al 2015. Abbiamo preso come riferimento della nostra riflessione proprio la grande crisi, e il tracollo commerciale a cui ha portato tante piccole attività.
Le tabelle pubblicate nel 2016 da Confesercenti, che riportiamo sotto, ci mostrano il numero di attività aperte, di quelle chiuse e, in ultima colonna, il saldo fra aperture e chiusure dal 2011 al 2015. Le attività che vengono prese in considerazione sono i negozi in prima colonna, i bar in seconda e i ristoranti in terza colonna.
Facile vedere come le attività commerciali in Italia abbiano sofferto moltissimo, e il saldo fra aperture e chiusure è ampiamente negativo. Partendo da questa tabella proviamo a costruirne un’altra partendo dai dati che avevamo prima, quelli inerenti al numero di locali in Italia nel 2015.
Quest’ultima tabella ci da un dato interessante: bar e ristoranti hanno sopportato meglio la crisi, abbassando le saracinesche meno delle altre tipologia di negozio. Interessante anche vedere come i bar abbiano resistito appena meglio dei negozi, mentre i ristoranti (ricordiamo che questa categoria riunisce anche pizzerie, osterie, paninoteche etc) hanno retto molto bene, addirittura il 50% meglio rispetto ai negozi.
Quella che abbiamo provato a dare potrebbe essere una interpretazione, perfino banale, e diverse potrebbero esserne le cause. Fra queste, il quotidiano pare offrircene una, una tendenza che va avanti da anni ma sembra perfino in fase di accelerazione.
I negozi, ormai da molti anni, stanno subendo una epocale trasformazione del concetto di commercio. Dalle piccole botteghe di vicinato, uniche forme di approvvigionamento fino agli anni ’70, siamo passati al supermercato e ipermercato. Questa dinamica ha coinvolto soprattutto gli alimentari fino al 2000, quando lo sviluppo sempre più forte di grandi catene ( Ikea, Brico, Decathlon, Mediamarket etc.) ha travolto un po’ alla volta altre tipologie di negozi. A dare il colpo di grazia, e a creare problemi perfino alle grandi catene è poi arrivato lo sviluppo impetuoso dell’E-commerce (Amazon e i suoi compagni). Ormai non è difficile vedere mamme che vanno in cartoleria, fotografano lo zaino che vorrebbero comprare ai figli per la scuola e acquistarlo poi online.
Una tendenza che ha distrutto molti negozi ma che, nonostante lo sviluppo di alcune catene (Mc Donald, alcuni marchi legati a pizza e tex-mex) non ha toccato il mondo del bar o del ristorante, che addirittura, con la riscoperta del prodotto del territorio, del Km 0 e del cibo healthy, sembrano, per chi è in grado di proporre qualità, conoscere nuovi sviluppi molto promettenti.
Aprire un bar potrà quindi essere una scelta conveniente, perché abbiamo visto come questo tipo di attività riesce comunque a galleggiare, nelle attuali tendenze, meglio di altre tipologie. Aprire un bar può però non convenire, non valere la pena, se cominciamo a valutare quanto ci permetterà di metterci in tasca.
E’ un tema complesso, con infinite variabile, a cui abbiamo dedicato molti post (per esempio su come guadagnare 1200€ al mese con un bar) in generale però possiamo dire che un bar ha costi di gestione alti e spesso margini più bassi rispetto ad altre attività commerciali. Sopratutto il costo del personale, voce importante nella ristorazione, e una certa compressione dei prezzi dovuta alla elevatissima concorrenza portano a margini che, in attività con oltre 4 dipendenti, spesso scende sotto il 10% del fatturato, mentre supera il 20% in molte attività commerciali diverse.
Concorrenza dicevamo; nel mondo del bar è davvero altissima: 2,8 bar per mille abitanti. Potrebbe non sembrare un dato impressionante, ma se pensiamo che in questi mille ci sono anche molti bambini e persone che, per abitudine e stile di vita non frequentano il bar, capiamo che il mercato per cui ci si batte può essere davvero ristretto. Alcune regioni poi hanno tassi di bar per mille abitanti ancora più alti, vediamole in questa tabella edita da Confcommercio nel 2013, quindi non particolarmente aggiornata.
Per ultima una dolorosa considerazione. Non ci sono statistiche al riguardo, ma per esperienza possiamo dire che, nei piccoli bar dell’angolo, quello che si mette in tasca chi vi lavora, anche se proprietario, raramente supera i 1100/1200€ al mese (e molti, purtroppo si sognano queste cifre).
A salire molto sono le ore di lavoro, che raramente sono meno di 60 a settimana/260 al mese (e, anche qui, per molti sono molte ore di più…).
Beh: se dividiamo 1100€ per 260 ore viene fuori una paga oraria di 4,23 €… vale la pena?
The post Aprire un Bar Conviene? Una Analisi Statistica first appeared on Aprire Un Bar.]]>
Quanto valgono, in fatturato, tutte le tazzine di caffè e cappuccino servite in Italia ogni anno?
Una cifra che suona quasi incredibile: 6,6 miliardi di euro. È il valore di tutti i caffè espressi che sono venduti nei bar d’Italia ogni 365 giorni. La cifra viene riportata da uno studio de “Il sole 24ore” autorevole quotidiano economico, uno studio che riteniamo possa essere davvero fonte di riflessione per chi vuole aprire un bar.
Detta in termini generali comunque questa cifra dice poco, ma quanto incide sui conti di un bar?
Lo studio entra più nel dettaglio, riportando come i 149.000 bar sparsi per l’Italia servono in media 175 tazzine di caffè per ogni giorno (il conteggio è stato realizzato escludendo un giorno alla settimana, considerato di chiusura).
Naturalmente il numero di espressi serviti in una giornata varia di parecchio a seconda della tipologia di bar.
Le cifre che la statistica ci da dicono che vengono servite mediamente 220 tazzine nei lunch bar (i locali specializzati nel pranzo come quello che vediamo in questo post) 202 tazzine per i morning bar (diciamo le pasticcerie da colazione come questo), le 170 nei bar “multipurpose” (i locali con vari importanti momenti di consumo in tutto il giorno) si scende a 85 negli evening bar (i bar serali, un dato che si sembra perfino sovrastimato) e risale a 202 tazzine giornaliere di media nei bar che non hanno un’offerta specifica (forse rientrano in questa categoria i cosiddetti “bar dell’angolo”).
Anche questa domanda, inevitabilmente, può avere risposte molto sfaccettate a seconda del contesto. Diamo comunque due formuline di base:
Quindi
In realtà, quando si calcolano i fatturati dei bar, si calcolano 130 tazzine con un chilo, valutando un po’ di spreco (magari per cercare la macinatura, o perché a bersi un espresso è un barista assonnato..)
Se pensiamo che:
E le 130 tazzine preparate pesano per circa 1,10 Euro l’una (fra caffè e cappuccini) ecco che 143 sono gli Euro incassati dalla pura vendita del caffè, circa il 40% del fatturato totale in un bar medio, il bar dell’angolo.
Altra domanda dalla risposta impossibile. Abbiamo visto che il caffè può incidere in maniera molto diversa sui fatturati dei vari locali; ad esempio, anche una pasticceria che lavora moltissimo, e che magari consuma otto chili di caffè al giorno (quindi oltre mille tazzine) potrebbe prendere dal caffè meno del 30% del suo fatturato; il resto arriverà da pasticceria, pranzo e aperitivo.
Se questi aspetti riguardano gli incassi c’è poi da parlare delle spese e di quanto incidono sul ricavo finale.
Come abbiamo visto il questa nostra serie di post, le spese in un bar possono essere variabili, semivariabili e fisse, e solo una valutazione complessiva, e soprattutto caso per caso, può permettere una analisi realistica.
Per questa analisi realistica del locale che state valutando vi aspettiamo ai nostri full immersion di apertura e gestione bar, dove avremo tempo, a fine corso e con i nostri trainer, di valutare insieme vostri progetti, bilanci, foto e il materiale che porterete.
Segnaliamo che questi dati siano elaborati dall’Ufficio studi Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi).
Quando il nostro obbiettivo è l’acquisto di un bar o di un ristorante, insomma, di una attività commerciale, uno delle preoccupazioni maggiori è cercare di saperne più possibile sull’andamento della attività, su suoi eventuali indebitamenti o, in generale, gli scheletri che potrebbero essere nascosti nell’armadio della gestione che ci vende il locale.
Non sono poche le persone che, magari intervenendo ad un nostro corso di gestione e apertura bar, hanno detto di voler far ricorso ad una visura camerale per vedere se l’attività che andavano ad acquistare era sana o no, ma con questo documento lo si può capire?
La cosiddetta visura camerale è un documento che si può ottenere dalla Camera di Commercio (ma in realtà sono molti i siti che, dietro pagamento di una piccola cifra, li rilasciano on-line) e che contiene informazioni su una ditta registrata (registrare la ditta è obbligatorio) in Camera di Commercio, sia che si tratti di una ditta individuale, di una società di persone o di capitali.
Questo documento contiene molte informazioni anagrafiche, ad esempio la ragione sociale, l’oggetto sociale (il motivo per cui la ditta è stata costituita) la sede, i nomi dei soci e le loro quote, i loro poteri (ad esempio chi è l’amministratore delegato) e le eventuali variazioni (nel caso di visura storica) che hanno subito le quote e la composizione societaria.
La Visura però NON contiene alcun dato riguardo l’indebitamento o la situazione patrimoniale, per cui resta fondamentale l’esame del bilancio, che è pubblico nel caso di società di capitali, e che va chiesto al venditore negli altri casi. Dalla visura non si vedono nemmeno eventuali debiti verso il fisco, mentre si possono vedere eventuali situazioni di fallimento.
La visura camerale resta uno strumento utile per capire con chi abbiamo a che fare, i nomi dei soci possono infatti portarci (magari con il supporto di qualche funzionario di banca di cui siamo clienti) a capire il loro trascorso e le eventuali criticità.
The post Cosa Permette di Verificare la Visura Camerale nell’Acquisto di un Bar o Ristorante first appeared on Aprire Un Bar.]]>
Non è difficile capire l’importanza dell statistica, dell’analisi di mercato in economia; ogni grande azienda impiega risorse e tempo per studiare i flussi di mercato, le tendenze e le dinamiche, per ragionare su questi dati e per prendere decisioni che provino ad intercettare (e a volte anticipare) i movimenti stessi del mercato.
Se lo fanno le grandi aziende perché non dovrebbe farlo il piccolo bar? Alla fine, come diciamo durante i nostri corsi di gestione ed apertura bar full immersion, un bar è una azienda a tutti gli effetti, e come tale va trattata.
Questa frase non va certamente ripetuta a Giulio Brancatelli, uno dei proprietari del JT Caffè di Firenze, un bellissimo locale situato nella famosa e scenografica Piazza Pitti. Giulio viene dal mondo della moda, dove ha seguito (e segue) boutiques di abbigliamento e accessori in pelle, e ha semplicemente rapportato l’approccio statistico tipico delle grandi aziende retail al suo locale. Leggiamo l’intervista:
D. Giulio, sei un gestore di bar atipico, e passi un po’ del tuo tempo dedicato al lavoro (e al riposo) davanti a colonne di numeri. Come nasce tutto questo?
R. Io provengo, appunto, dal mondo retail. In queste attività, nella scelta delle location e successivamente nella strutturazione del punto vendita, ci sono degli indicatori a cui si fa sempre riferimento tra i quali: il traffico pedonale di fronte alla vetrina, definito in inglese footfall (
D. Dati la cui importanza è comprensibile, tecnicamente come si ottengono?
R. Per quello che riguarda il calpestio ancora adesso si può ricorrere al sistema più semplice: mettersi sul marciapiede con un contapersone e contare, ripetendo il conteggio in diversi momenti, diversi giorni, diversi orari, e facendo una media. Esistono poi dei sistemi elettronici di tracking, di fatto delle telecamere, con programma di riconoscimento non facciale (per la privacy) che, letteralmente, contano e registrano le teste che passano.
Noi sappiamo che le persone entrano in un locale perché hanno bisogno di qualcosa o perché vi vedono qualcosa di attraente, di stimolante. E’ quindi facile fare un primo incrocio dei dati, capendo se, a parità di passaggio sul marciapiede, una variazione della vetrina, della esposizione della pasticceria e perfino dell’atteggiamento dietro il banco porterà ad aumentare o diminuire il numero degli ingressi.
D. Oltre ad una valutazione “di quantità” si riesce anche a fare analisi “della qualità” degli ingressi e della clientela?
R. Da questo punto in poi si comincia a parlare di scontrini e il rapporto fra ingressi e prodotti acquistati. Possiamo immaginarci come questo rapporto sia almeno di 1/1, vale a dire che ogni cliente acquista almeno un articolo, un prodotto, un caffè o un panino; se si è sotto questo rapporto qualcosa davvero non va. Potremmo pensare che il nostro bar davvero non è attrattivo e non mantiene quello che promette, ma potremmo anche pensare, ad altri eventi meno piacevoli nella gestione della cassa … in ogni caso ci è capitato spesso di vedere come alcune disposizioni dei prodotti nel banco, o la postura di alcuni addetti al banco portavano ad aumentare il rapporto fra ingressi e prodotti venduti, spingendoli verso medie piu alte.
Avrete già capito che questo approccio statistico risulta di grande utilità quando si ha del personale per controllare sprechi o inesattezze nella gestione della cassa elettronica. Per fare un’esempio ci siamo accorti che il consumo di latte di soja non corrispondeva ai pochi cappuccini di soja venduti, qualcosa non stava funzionando a dovere..
D. Una grande massa di dati, trovi il tempo di analizzarli?
R. basta ritagliarsi un po’ di tempo una volta a settimana. Se si analizzano i dati una volta al mese si rischia di arrivare tardi nel capire certe dinamiche, e a quel punto il danno è fatto…
D. Ci raccontavi come hai fatto analisi anche nel rapporto fra personale presente e clienti serviti, fino a trovare un rapporto ideale.
R. Sì, almeno ideale per il nostro locale. Ci siamo accorti che mantenere questo rapporto può portarci a volte a a gestire il classico picco del lavoro, ma con un po di allenamento e organizzazione alla lunga la gestione corretta del costo del lavoro paga…
D. Se qualcuno dei nostri lettori fosse interessato al tuo approccio potrebbe contattarti?
R. Certamente, la mia mail è gbrancatelli@jtcaffe.com
The post Usare la Statistica per Migliorare gli Incassi di un Bar first appeared on Aprire Un Bar.]]>
Nel primo post di questo capitolo dedicato a come aprire un locale in franchising (trovate il post qui) abbiamo visto quando è utile e quando non è utile affiliarsi ad un modello di franchising. Vediamo invece, in questo post, cosa valutare a cosa stare attenti nella scelta di un modello, di un concept di gelateria, caffetteria, yogurteria o panineria in franchising.
IL CURRICULUM DEI RESPONSABILI
Innanzitutto un elemento che fa molto assunzione: chiedere curriculum dei responsabili del progetto, del concept. In fin dei conti si propongono a noi come degli esperti, e possiamo senz’altro chiedergli di mostraci come hanno maturato questa esperienza.
IL NUMERO DI LOCALI
Ogni concept di franchising si promuove, giustamente, dichiarando e acclamando quanti locali ha aperto con il suo modello, numero di aperture che dovrebbe significare successo di mercato. Aggiungiamo anche che maggiore è il numero di location aperte, maggiore dovrebbe essere l’esperienza maturata del franchisor (colui che ci vende il concept) e dal concept stesso.
Alcune considerazioni nella valutazione di questo dato. In quanto tempo sono state aperti questi locali? Un successo troppo repentino potrebbe dare difficoltà nel seguire questa forte espansione, anche semplicemente nel seguire le necessità dei singoli franchisee (le figure che acquistano il diritto di usare il concept, in pratica noi). Ancora, un numero alto di locali aperti, ma tutti in poco tempo, non ci dice se il modello di locale è in grado di tenere il mercato, o se è solo una moda improvvisa.
Altro dato importante è il numero di locali aperti e gestiti direttamente. Sopratutto in una fase iniziale questo dato ci dice quanto lo stesso franchisor investe e quindi crede, nella sua idea.
CAPACITA’ DI DIRE DI NO AD UNA LOCATION
Trovare la location giusta non è facile, non è un caso che Mac Donald fa aprire nuovi franchisee solo in location scelte e selezionate dalla casa madre (volete sapere come si apre un Mc Donald? Leggete qui). Un sistema di franchising che sa dire di no a location inadatte non è affamato di aperture solo per fare numero, a qualsiasi costo, e darà quindi maggiori prospettive di successo.
Ricordarsi che anche una location con un gran passaggio potrebbe essere inadatta ad un tipo di format (possiamo vendere tè pregiati ai binari di una stazione, per quanto grande?)
Ancora: non tutti i prodotti vanno bene nelle stesse aree geografiche, può darsi che un negozio di prodotti tipici liguri non abbia un grande appeal nelle Marche…
CI PIACE QUELLO CHE ANDREMO A VENDERE? CHE PRODOTTO E’?
Essere competente e entusiasta del prodotto che proporremo è un buon punto di partenza. E’ vero che un franchising si sceglie per il costo e l’assistenza finanziaria, ma se ci piace il prodotto che venderemo, lo apprezziamo e ci crediamo veramente, sarà più facile proporlo ed essere felici del nostro lavoro.
Ancora: abbiamo esperienza in questo prodotto? E’ vero che il franchisor ci dovrebbe aiutare, ma gli imprenditori siamo noi, e avere dimestichezza con quel prodotto sarà un importante vantaggio da mettere sul piatto!
Quel prodotto è una moda? Bisogna saper riconoscere i trend momentanei dai prodotti che possono assicurarci un’orizzonte temporale di business interessante.
VALUTARE I FINANZIAMENTI DAL FRANCHISING
Arriva anche il momento di parlare di soldi. Spesso i modelli di franchising, ben sapendo che quello del reperimento dei fondi è un problema fondamentale, propongono forme di finanziamento e rateizzazione.
Come sempre valutiamo sia il finanziamento sia la rateizzazione con un business plan corretto (vediamo come si compila durante il corso di apertura bar) e cerchiamo di capire se possiamo reggere, con gli incassi della nostra attività, la rata mensile…
PUBBLICITÀ E CONCORRENZA
Due elementi fondamentali che dobbiamo essere noi a valutare.
La concorrenza: chi ci propone il modello di franchising dovrebbe aiutarci a valutarla, anche con studi che ha già fatto, ma, una volta di più, gli imprenditori siamo noi stessi, e siamo noi a dover fare valutazioni critiche…
Pubblicità: la notorietà del marchio è uno dei motivi per cui si sceglie un franchising o un altro: quanto investe in promozione il nostro marchio? Come lo investe? La sua pubblicità ha una ricaduta importante sulla nostra zona/ nostro target?