Se Starbucks continua la crescita inarrestabile, almeno in termini di numero di locali e fatturato, le tantissime copie che negli anni hanno cercato di imitarlo non sembrano godere di buonissima salute, alcuni non c’è l’hanno fatta e altri, i più forti, hanno dovuto reinventarsi.
Questo è il tema del nuovo video del nostro canale Youtube, un video incentrato su una parabola, su una fase storica del mondo del caffè.
Dalla diffusione, alla fine degli anni ’90, di Starbucks moltissime idee imprenditoriali hanno cercato di avere successo copiando, a volte in maniera smaccata, banale, il colosso americano.
In realtà non ci sono riusciti; molti sono falliti, molti hanno dovuto reinventarsi, e in ogni caso i numeri sono rimasti molto molto lontano da quelli della catena di Seattle, che nel frattempo, continua a crescere e rinnovarsi.
Tutto questo nel nuovo video, che trovate qua sotto!
Chi vive, o comunque è familiare con la toponomastica di Genova lo sa, Sestri Ponente è un quartiere semi centrale, piacevole. A caratterizzarlo la vicinanza con porto e aeroporto, e la storica Manifattura Tabacchi, oggi ristrutturata e sede di un auditorium, della grande biblioteca civica e di attività commerciali come la Manifattura Etica.
Ma non solo, la via principale che attraversa il quartiere, via Sestri, è stata negli anni quasi tutta pedonalizzata, diventando una specie di “centro commerciale naturale” fatto di piacevoli negozi e prodotti tipici.
Fra questi, un locale che si distingue è il Expresso Bar.
Espresso quindi, quindi caffetteria, ma non solo. Sì, perché il proprietario, il giovane Matteo Ferraro, ha due grandi passioni: la montagna, e sopratutto il lato sportivo della stessa (parlategli di Mountain Bike e trail running, diventerete immediatamente amici!) e la birra artigianale.
Quest’ultima passione, lo capite bene, è stata travasata nel locale, che rimane ancora una gran bella caffetteria di qualità, ma che ha saputo trasformare un bar di quartiere, un “bar dell’angolo” che vende i biglietti dell’autobus in un locale specializzatissimo in birra artigianale.
Ah, quanto contano le passioni! In progetti come quelli di un locale fanno davvero la differenza, danno energia, pepe e rendono straordinario qualsiasi luogo, qualsiasi location. Di quanto contino queste idee nel locale di Matteo lo capiamo dalla pagina Facebook del suo locale, piena di visite a cantine, a produttori e di eventi, a cui si prende parte o che addirittura si organizzano.
A questo punto vi invitiamo a guardare la bella video intervista a Matteo che trovate qua sotto; è davvero una miniera piena di idee per aprire un locale!
Mettiamoci nei panni di un cliente. Cosa c’è di più bello di una pausa di coccole in cui sorseggiare un cappuccino, un tè o addirittura un profumatissimo caffè filtro mentre sfogliamo un libro sulla destinazione delle nostre prossime vacanze?
Bene, adesso smettiamo di sognare e rimettiamoci nei panni dell’imprenditore, sia permettere al cliente di godere questo momento magico, sia per conquistare questa quota di mercato; è il momento di capire come aprire una libreria caffè.
Ma qual’è la nostra idea di una libreria caffè? Cosa realmente vogliamo aprire?
Sembra una domanda banale, in realtà è la prima a cui bisogna davvero pensare e rispondere:
Perché questa domanda è così fondamentale? Perché solo cominciando a pensare al nostro progetto con le idee molto chiare riusciremo a fare le scelte giuste in termini di location, di arredamento e lay-out, di attrezzature e macchinari e perfino di menù e comunicazione.
Da parte nostra possiamo provare a darvi qualche spunto di riflessione: perché si apre una libreria con bar interno?
Abbiamo deciso che tipo di locale vogliamo fare? Bene, vediamo allora…
Il primo passo da fare, il più importante, sarà la caccia alla location. L’obiettivo di questa ricerca non sarà solo commerciale, non punterà solo a capire se il la strada gode di un buon passaggio pedonale e se ha intorno il giusto mix di pubblico, ma sarà fondamentale anche per capire la fattibilità del nostro progetto.
Infatti, se aprire una libreria, un negozio di libri così come una qualsiasi attività non legata al food e alla somministrazione, non è dal punto di vista burocratico un problema particolare,
In tutta onestà noi non siamo esperti su come si apre una libreria per questo vi invitiamo a visitare siti di chi ci capisce più di noi come questo sito.
Molto più complesso sarà invece ottenere i permessi per l’area bar, che essendo un’area “food” dovrà sottostare ad una serie di obblighi più stringenti.
A verificare tutto questo potrebbe/dovrebbe essere un tecnico (un geometra, architetto o simile) che dopo aver valutato la fattibilità del progetto lo presenterà al SUAP e alla ASL, che daranno un loro parere ed eventualmente chiederanno modifiche.
Mentre seguiamo questi passaggi noi saremo impegnati a valutare se abbiamo i requisiti professionali per il food oppure prendere parte ad un corso SAB.
Molti di questi passi, che trovate anche riassunti qui, verranno meno nel caso si rilevi una attività già esistente, che potrà continuare a lavorare come ha sempre fatto a meno che noi non vogliamo apportare modifiche o cambiare tipologia di preparazioni.
Come raccontano le foto che accompagnano questo post, alcune di questo libro-caffetterie sono diventate note per il loro fascino, sia perché si trovano in location piene di storie, sia perché i libri, diciamoci la verità, sanno essere davvero romantici.
L’immagine però non è tutto, anche il menù sarà importante.
E facile immaginare che molti prodotti da bar di servizio classico non siano affatto adatti ad un bar libreria, nessuno potrà infatti pensare, per aprire una libreria caffè, di puntare su l’espresso, o sulla rivendita tabacchi! A funzionare saranno prodotti “da pausa” da relax.
Meno caffè e meno brioche quindi, e più tè (magari di varie origini, in cui il cliente possa scegliere) più cappuccini (magari con diversi latti, caffè specialty e sciroppi naturali) e perfino caffè filtro, con tecniche brewing, davvero in grande crescita.
Dolci e food? Un consiglio che arriva dall’esperienza: privilegiate tutto quello che si mangia con una forchettina o cucchiaino, non con le mani, i libri si sporcano.
The post Come Aprire Una Libreria Caffè first appeared on Aprire Un Bar.]]>Questo post è dedicato a come si apre una torrefazione, però, prima di cominciare a vedere i vari passi è necessario chiarirci: cosa si vuole avviare, esattamente, quando si chiede come aprire una torrefazione?
Il termine “torrefazione” in effetti ha creato nel tempo un po’ di confusione, tanto che chi dice “voglio aprire una torrefazione” può in realtà riferirsi a modelli di business molto diversi; ad esempio:
Vocabolario alla mano, probabilmente la seconda definizione è la più corretta e la prima la più sbagliata. La terza invece è quella da ragionare meglio, anche perché è quella che si è trasformata, anche come percezione, nei decenni.
Fino agli anni ‘70/80 era abbastanza normale trovare bar con una piccola macchina che tostava il caffè. In questi locali, in cui a volte la preparazione dell’espresso era secondaria rispetto alla vendita del sacchetto di tostato, la signora prendeva il caffè per casa facendoselo macinare sul momento, e diffondendo così un aroma delizioso che forse i più grandi (o vecchietti) di noi ricordano…
Questo modello di locale con gli anni è man mano scomparso, anche per la maggiore rilevanza data ad aspetti legati alla sicurezza sul lavoro e al rischio di incendi.
Negli ultimi anni, però, questo concept è tornato prepotentemente di moda; non si chiama più torrefazione, ma è anglofilizzato. Per esempio “specialty coffee shop” Third way coffee shop” o Artisanal coffee shop”.
Gli appassionati di caffè come noi sanno bene a cosa ci stiamo riferendo: a quel modello di locale in cui non si offre una semplice dose di caffeina, ma un’esperienza vera e propria, con chicchi che provengono da fattorie e piantagioni sempre diverse, diverse perchè seguono il naturale ritmo dei raccolti nei vari continenti. Beh, questi caffè di altissimo livello vengono spessi tostati, se le condizioni strutturali lo permettono, all’interno del locale, in piccole macchine tostatrici collegati a computer in grado di registrare le curve di calore delle varie tostate. Questi caffè vengono poi si proposti al banco ma anche venduti per il consumo casalingo, come si faceva una volta. L’antico modello, insomma, torna, ma più cool!
Bene, una volta chiarito che parleremo di questo modello andiamo avanti, e vediamo come aprire una torrefazione passo per passo.
Lo faremo seguendo un preciso indice:
Se la nostra idea è quella di aprire un bar con una specializzazione in caffè, i passaggi non saranno diversi da quelli per aprire un normale bar, e potete trovarli qui ben riassunti.
Se invece vogliamo installare una macchina e un impianto per la tostatura del caffè, avremo alcune problematiche in più da considerare. Vediamole.
Sempre partendo dall’idea che quello che vogliamo aprire sarà un locale caffetteria con un’area dove tostare il caffè, i costi da calcolare per ristrutturazione, arredamento e attrezzature saranno da dividere in due aree: quella di caffetteria e quella di tostatura vera e propria
Come i nostri lettori sanno bene, un locale che viene collocato in un fondo vuoto avrà costi di allestimento medi di 800/1000€ al metro quadrato, considerando in questa cifra una rapida ristrutturazione, una imbiancata, l’arredamento e le attrezzature di base.
Parlando di una caffetteria-torrefazione artigianale possiamo però fare alcune considerazioni: le prime due ci faranno risparmiare, la terza ci farà spendere.
1) Arredamento “cheap and chic”. Nel mondo delle caffetterie specialty la tendenza è quella di arredare il locale con pezzi di seconda mano trovati nei mercatini o nei negozietti di Bric-à-brac. In questo modo i costi scendono di parecchio, soprattutto se si ha volontà e pazienza di cercarli e metterli insieme.
Volontà, pazienza e gusto, perchè arredare con pezzi di seconda mano vorrà dire accostare pezzi diversi e cercare soluzioni mai banali; fatevi abbonamenti a riviste di arredamento e di design!
2) Vetrine e banchi frigo piccoli. In questi locali il caffè è davvero il core. Per questo non dedicheremo molto spazio a enormi vetrine per la pasticceria e grandi frighi per le bibite; serviranno, ma più piccoli, con tanto di guadagnato per il portafoglio e per lo spazio di cui necessitiamo.
3) Macchina da caffè stellare! Per locali come questi la macchina da caffè espresso dovrà avere caratteristiche di livello: stabilità termica elevata, caldaiette separate per ogni gruppo, ampia possibilità di gestione di pressione e temperatura da parte del barista… Uguale macchina costosa. E visto che il caffè ce lo tosteremo da soli, nessuna torrefazione ci darà una macchina in comodato…
Anche in quest’area una parte del budget dovrà essere dedicata alla ristrutturazione degli spazi. In questo caso i costi a metro quadro potrebbero essere un po’ più alti di quelli dell’area caffetteria, a causa dei presidi antincendio e delle normativa per tostatura caffè che dovremo rispettare. Fra queste attacchi gas a norma, impianti di aspirazione e canne fumarie ad hoc.
Ci sarà poi il capitolo delle attrezzature. Saranno molto diverse a seconda di quanto caffè abbiamo intenzione di tostare, e diversissimi saranno i costi. Tanto per spiegarci facciamo due esempi.
Caso 1. Piccolo caffetteria che vuole tostare il caffè soltanto per il suo consumo al banco, senza particolare rivendita di caffè in pacchetto. In un locale di questo tipo potrebbe bastare una macchina da 500gr/1kg di tostata per volta (sul mercato si trovano dalle 5 alle 12.000 Euro). Non serviranno inoltre particolari impianti di degassaggio (si confeziona subito) ne di impacchettamento.
Caso 2. Caffetteria importante, magari con altri due punti vendita in altre aree della città e con un sito di vendita online. in questo caso servirà una macchina più grande (sui 5/10 kg di capienza per tostata) con costi dai 25.000 in su. Potrebbero inoltre essere necessari silos di degasamento e piccole linee di impacchettamento.
Potrebbero Inoltre essere utili altri strumenti che ci permetterebbero di selezionare meglio i caffè verdi e di avere un controllo più evoluto sulle fasi della tostatura.
Fra questi:
Abbiamo visto che questo progetto comporta importanti investimenti e molto tempo, sia per far partire l’attività sia per far crescere le proprie abilità di tostatore. Ma ha senso? C’è mercato per questo tipo di locali?
Di questo avevamo già parlato in questo post in cui parlavamo di come aprire una caffetteria specialty. Possiamo riassumere come:
Volete aprire una torrefazione? Contattateci a [email protected] il nostro gruppo di trainer e consulenti vi supporterà, come facciamo da anni in Italia e all’estero.
The post Come Aprire una Torrefazione e tostare caffè specialty first appeared on Aprire Un Bar.]]>Al giorno d’oggi, quella di aprire un bar è un’attività che conta moltissimi format in Italia come all’estero (dal classico bar tabaccheria ai più moderni bio-bar e caffè letterari). Tuttavia, tra tutte le alternative disponibili spicca sicuramente il modello del franchising, il tipo di business più indicato per chi desidera mettersi in proprio per la prima volta o abbia una disponibilità limitata in quanto a risorse e mezzi iniziali. Per quanto riguarda il settore esclusivo dei bar, le tendenze sono moltissime e in costante mutamento, ampliandosi e variando anno dopo anno. Lo scopo di questo articolo è proprio quello di illustrare i migliori tipi di franchising per bar del 2020, una selezione quindi del migliori modelli di bar franchising, quelli da tenere d’occhio!
Vediamo innanzitutto quali sono i motivi che spingono un gestore di bar a scegliere il formato del franchising per il proprio locale. Prima di tutto, il franchising comporta un tipo di investimento ritenuto meno rischioso rispetto a quello che comporta l’apertura di un locale ex novo, sconosciuto dai fornitori come dalla clientela. Affidarsi a un marchio già presente (e possibilmente stimato) all’interno del settore rappresenta infatti un’opportunità vantaggiosa per l’imprenditore, che in questo modo può fare affidamento fin da subito sul supporto di un’azienda diffusa e rinomata.
Alcune aziende offrono inoltre la possibilità di aprire un franchising a “costo zero”, ovvero senza richiedere il pagamento di una tassa di ingresso, né di royalties o di percentuali sul fatturato: in questo caso il guadagno della casa madre risiede in altri elementi, ad esempio sui prodotti o i servizi che fornisce alla sussidiaria.
Qui occorre fare una precisazione forse scontata, ma che è bene ripetere: l’apertura di un locale “solo bar” comporta sicuramente un costo e un impegno contenuti, perciò si addice soprattutto a chi entra nel settore per la prima volta e a chi dispone di un capitale piuttosto limitato da investire. Tuttavia, ciò non toglie che in futuro qualsiasi locale possa aggiungere nuovi spazi, servizi e prodotti all’offerta originale, nel caso in cui l’attività dovesse partire con il piede giusto e ottenere risultati soddisfacenti. Adesso però vediamo nel dettaglio quali sono le migliori caffetterie in franchising consigliati in particolare per il nuovo anno e per il prossimo futuro:
La storica azienda italiana propone una formula di affiliazione che richiede il versamento di una tassa d’ingresso (circa 25 mila euro) e il versamento di canoni periodici pari al 5% dei ricavi totali di vendita (netti + Iva/trimestrali). Per essere eleggibile di franchising, occorre poi disporre di un locale con una superficie di vendita pari ad almeno 80 metri quadri, collocato in aree densamente frequentate come aeroporti, stazioni ferroviarie, hotel, centri commerciali, outlet, centri città, musei o librerie.
Il contratto dura sei anni ed è negoziabile per altri sei, per un totale massimo di dodici anni di affiliazione. La fornitura dell’arredamento e dell’attrezzatura non è a cura della stessa Illy, ma viene provvista da aziende contractor selezionate. Insieme alla tassa d’ingresso, i costi stimati per l’apertura del locale si aggirano tra i 100.000 e i 250.000 euro. Si tratta di un investimento ingente e impegnativo da recuperare, ma che garantisce tutta una serie di servizi, tra cui la consulenza costante di un Franchisee Manager finalizzata alla progettazione del locale, alla definizione dell’offerta e dell’immagine, e anche all’attivazione di strategie di marketing e comunicazione; corsi formativi in collaborazione con l’Università del Caffè e corsi su richiesta relativi a temi specifici; formazione online per la preparazione della caffetteria; possibilità di training on the job presso uno dei punti vendita a gestione diretta.
Nella sua proposta di franchising, Segafredo offre una consulenza continua e rivolta ad ogni fase del business, dalla sua progettazione all’apertura. Sebbene il sito ufficiale dell’azienda non riporti cifre e numeri necessari a fare una stima dei costi relativi all’apertura di un locale sottoforma di franchising, è presumibile che si tratti di un investimento piuttosto ampio e a lungo termine. Inoltre, in aggiunta al processo di consulenza in previsione dell’apertura, l’azienda fornisce alle sue sussidiarie attrezzature professionali di alta qualità, materiale di merchandising, prodotti da bar esclusivi, consulenza in materia di marketing, attività di formazione e molto altro.
Il lato vincente di aprire un franchising con Segafredo risiede nella recente creazione di un nuovo concept, la cui inaugurazione è prevista proprio per il 2020: si tratta del marchio Segafredo Select, un locale arredato in stile minimale e che si rivolge ad una clientela di persone consapevoli, appassionate di caffè, attente alle nuove tendenze nel design degli ambienti come dei prodotti. Il concept propone caffè “di livello eccezionale”, spaziando dai classici italiani ai metodi di estrazione internazionali, ma include anche prodotti estranei alla tradizione “da bar” quali piatti di ristorazione artigianale, cocktail e gelato.
Si tratta di un franchising che ha un costo di 19.800 euro (che scende a 15.800 nel caso in cui il locale consumi più di un chilogrammo di caffè al giorno) e tra i propri servizi offre utilizzo del marchio, progettazione e arredamento del locale, assistenza e affiancamento nella fase di apertura e formazione del personale, a cui si aggiunge la pianificazione delle operazioni di marketing e pubblicità. La durata del contratto è di tre anni, mentre i requisiti necessari all’affiliazione sono: un locale da adibire a caffetteria, le autorizzazioni ASL/PDV, e una località con 20/30.000 abitanti. Apo caffè rientra inoltre tra le opzioni di franchising a costo zero, non prevedendo il pagamento di costi di ingresso, royalties o percentuali sul fatturato.
Square è un marchio di BMV, azienda che opera sul campo da ben 15 anni e che, con 9.900 euro, permette di aprire un locale adibito sia a bar che pasticceria. Tuttavia, è possibile aprire solo il bar pagando un costo di 7.900 euro, un prezzo molto contenuto possibile grazie al comodato d’uso: gli arredi e le attrezzature del locale (vetrina, banco bar e retrobanco, macchina da caffè, tavoli, pensili, frigorifero, refrigeratore, insegne, forno e registratore di cassa) vengono infatti forniti dall’azienda in comodato d’uso gratuito e pertanto non devono essere comprate. Inoltre, l’azienda fornisce il proprio servizio di consulenza alla sussidiaria dal momento della prima apertura fino alla completa gestione del locale.
Catena di caffetterie aperte da Oro Caffè, azienda storica nel panorama delle torrefazioni di caffè, presente sia sul mercato nazionale che internazionale, i locali firmati Adoro Cafè si distinguono per il loro design “italiano”, dall’atmosfera familiare, accogliente e rilassante. Oro Caffè fornisce a chi intende avviare un bar Adoro Cafè tutto il proprio know-how, seguendo congiuntamente al partner l’analisi commerciale della concorrenza e delle location, l’analisi di fattibilità e sostenibilità del risultato economico. Si tratta di un investimento di circa 50 mila euro, che però includono un servizio di assistenza costante anche dopo l’apertura del locale e la distribuzione esclusiva dei prodotti commercializzati, su cui non è previsto il pagamento di alcuna royalty.
L’ultimo franchising nell’ambito della gestione bar che sicuramente riscuoterà successo anche nel nuovo anno è La bottega del Caffè, franchising di caffetterie italiane lanciato da Cibiamogroup, una delle più solide realtà nel panorama della ristorazione veloce in Italia. La bottega del Caffè propone un concept di caffetteria italiana qualitativamente molto alto, offrendo miscele di caffè ricercate e declinate in vari modi (espresso, moka, microfiltrato ecc) oltre ad una selezione di caffè e cappuccini “speciali” o regionali. L’offerta del locale si completa con brioche farcite al momento, pasticceria selezionata e panini gourmet per un pranzo o una pausa veloce. Oggi i locali a marchio La bottega del Caffè operativi su tutto il territorio nazionale sono trentasette. Il costo stimato per la singola apertura è di circa 90 mila euro, in cui sono compresi: attività di formazione e affiancamento costante, con supporto completo dalla scelta della location alla realizzazione del locale con la formula “chiavi in mano”, fino alla consulenza pre e post apertura.
Se digitiamo su internet “bar bianco”, il primo risultato che troviamo sarà probabilmente il famoso “Bar Bianco” di Parco Sempione, locale semi-leggendario per chi abita a Milano. Si tratta di un locale storico dove è possibile bere una vastissima quantità di bevande e cocktail, a cominciare dagli stilosi aperitivi serviti sul patio o in terrazza. Tuttavia, non è questo il tipo di bar di cui vogliamo parlare nel nostro articolo, vediamo invece come aprire un bar bianco, un bar no alcool.
I bar bianchi nascono con l’idea di servire bevande alcol-free, spesso nell’ottica di educare a “bere responsabilmente”, ovvero con criterio e senza compiere abusi. Insieme al consumo di bevande prive di alcol, questo tipo di locali incoraggiano spesso altre tendenze che ultimamente hanno visto un discreto aumento di popolarità tra gli italiani: come quella a mangiare piatti sani ed ecosostenibili, spesso biologici e privi di conservanti. Alla domanda “che cos’è un bar bianco” potremmo quindi rispondere come un bar dove lo stile di consumo è salutare ed equilibrato, basato sul proporre prodotti di qualità al posto dei tipici “trend del sabato sera”.
In Italia i bar bianchi sono una realtà commerciale in espansione, tuttavia il loro numero è ancora molto basso e non è di certo facile scovarli tra i circa duecentomila esercizi italiani. Nonostante l’ancora limitata popolarità, si tratta però di una categoria di locali definita e concreta, in cui vale la pena di investire se siamo alla ricerca di un profilo di attività diverso e alternativo rispetto ai soliti locali.
In alcune zone d’Italia, ad esempio in Trentino Alto-Adige, la legge prevede addirittura sgravi e incentivi di vario tipo per chiunque decida di non servire alcolici nel proprio bar: un approccio normativo volto a tutelare soprattutto i minori dalle conseguenze legate al consumo di bevande alcoliche. Sempre nel Trentino, afferma l’Istituto Superiore di Sanità, il 26% della popolazione sarebbe “consumatore di alcol a maggior rischio”, ovvero beve abitualmente alcolici e superalcolici in quantità esagerate o pratica il binge-drinking, la moda che incoraggia a bere fino a stare male. Se poi spostiamo la lente di ingrandimento e guardiamo a tutta l’Italia, le statistiche riportano che i ragazzi dagli undici ai diciassette anni bevono più che in passato, e principalmente fuori pasto (cioè, spesso, a stomaco vuoto).
L’invenzione del primo bar bianco è in tutta probabilità da imputare a una latteria cooperativa nel bellunese che nel 1969 pensò bene di aprire una specie di spaccio per la vendita dei suoi prodotti, aggiungendo di fianco un bar per far assaggiare il suo latte. Nel locale veniva appunto servito solo latte e non vi era possibilità di consumare alcolici.
È bizzarro pensare che questo modello di attività si sia sviluppato proprio nella zona del bellunese, che è tutt’oggi considerata una delle “più alcoliche” d’Italia. Non solo: il loro locale riscosse così tanto successo che la Lattebusche (questo il nome della cooperativa) decise di aprirne altri due, sempre nella zona. Probabilmente è proprio l’esperienza di Lattebusche ad aver dato il nome al modello del bar bianco: bianco come il latte, è facile intuirlo, ma in senso più ampio “bianco” può anche essere un sinonimo di puro, leggero e salutista.
Diversamente dai loro predecessori, i bar bianchi di oggi non sono incentrati tanto sul consumo di latte e prodotti caseari, ma sull’offerta di bevande alcol-free e in generale di piatti considerati salutari: centrifugati di frutta e verdura, miscele analcoliche, frullati e varietà di tè e caffè. Un’offerta di bevande variegata che spesso viene integrata da quella altrettanto particolareggiata in merito a piatti caldi o freddi: un bar bianco può decidere di specializzarsi in finger food, come pizzette, toast, tramezzini e panini, oppure in piatti più elaborati, ad esempio zuppe, minestre, primi e secondi biologici. È inoltre utile notare che il bacino di utenza per un locale del genere è potenzialmente molto vasto e abbraccia ogni fascia della popolazione: dai giovani agli anziani, passando per studenti, lavoratori, mamme con bambini e così via. Più l’offerta del bar bianco è ampia, più aumentano le possibilità di ampliare e segmentare la sua clientela.
Un esempio di questo modello a conferma delle sue reali potenzialità è il bar bianco Caffè Reggio, aperto in Emilia quasi dieci anni fa nell’ambito di una strategia di riqualificazione di un quartiere che registrava un grave problema di consumo di alcol. Il bar diventò ben presto punto di ritrovo per gli anziani del posto e soprattutto per gli stranieri, che nella zona costituivano il 70% della popolazione: anzi, fu proprio la comunità musulmana a determinare il successo dell’iniziativa, perché garantì fin da subito un flusso di clientela avvezza a consumare prodotti analcolici e che incoraggiava l’espansione di un’offerta fino a quel momento statica. Ed è proprio nella diversificazione che risiede il vantaggio comparato con la concorrenza.
Similmente all’esperienza di Caffè Reggio, nel corso degli ultimi dieci anni è aumentato il numero dei locali che presenta un’offerta molto specifica: bar che servono solo caffè, specializzati nelle colazioni e nel dopo pranzo, ma anche gelaterie, frullerie (che vendono frullati) e creperie. È anche possibile adottare un atteggiamento più dinamico e tollerante verso la questione dell’alcol-free: è il caso di quei locali che danno la possibilità di ordinare alcolici soltanto in determinate fasce orarie o previo acquisto di un altro prodotto, ritenuto più sano e complementare.
Senza dubbio, per far fruttare un bar bianco serve il doppio dell’inventiva. Nonostante gli ultimi anni abbiano favorito l’emergere di tendenze salutiste, che premiano una dieta sana, spesso biologica ed ecosostenibile, la moda del drink analcolico è ancora poco diffusa. Da quest’anno sembra aver preso piede in America il trend del mocktail, storpiatura della parola cocktail che sta ad indicare un cocktail realizzato con ricetta tradizionale ma con l’uso di sostanze alternative all’alcol. L’idea sta funzionando e qualche bar italiano ha già iniziato ad applicarla, proponendo accanto alla classica lista dei cocktail una lista di bevande analcoliche sfiziose, a base di frutta, fiori, spezie e sapori. Oltre al sapore molto simile a quello di un cocktail, un altro lato vincente del mocktail risiede nel suo aspetto e nella sua presentazione, entrambi molto estetici e colorati.
Quali requisiti devono essere soddisfatti per aprire un bar bianco? Se per aprire un bar che serve alcolici è tuttora necessaria la licenza UTF, non occorre naturalmente avere alcuna idoneità o licenza per aprire un bar che non vende alcool. È semmai necessario fare alcune riflessioni preliminari sul tipo di impegno, strategia e investimento che l’apertura di un’attività così particolare certamente comporta.
Come tutti i modelli di business molto specifici, anche un bar bianco trarrà sicuramente vantaggio dal rivolgersi ad una fascia di popolazione molto ampia: ad esempio, in un paesino ci saranno poche persone che scelgono di ordinare un frullato o un bicchiere di latte al posto dello spritz o del caffè corretto, ma la situazione potrebbe essere radicalmente diversa in una grande città, dove il target di riferimento è sia più ampio che differenziato. Se è innegabile il ruolo ricoperto in questo caso dalla disponibilità di un buon pubblico (inteso come potenziale clientela), è altrettanto vero che i locali Lattebusche hanno avuto successo anche in centri più piccoli. Il motivo è probabilmente da ricercarsi nel fatto che questo tipo di locali (che comunque traggono buona parte del fatturato dalla vendita di prodotti, caseari o meno, di alta qualità) sono riusciti a diventare un vero punto di riferimento per la comunità a cui si rivolgevano e non solo, calamitando attenzione e clientela anche da molto lontano.Per questo è essenziale che chi apre questo tipo di locali vi creda fortemente: non solo che sia convinto dell’investimento, ma che abbia una vera e propria visione di come realizzare al meglio le potenzialità del format. Un po’ come quando si apriva un bar latteria vecchia maniera. È inoltre da mettere in conto che sarà dura, soprattutto in un primo momento, vedersi perdere molte occasioni di vendita; pure organizzando un bellissimo aperitivo analcolico, è probabile che molti clienti, dopo una prima visita curiosa, torneranno subito alle loro abitudini alcoliche. Tuttavia, aprire un bar bianco non significa offrire “qualcosa senza alcol”, ma offrire un prodotto alternativo e fuori dall’immaginario comune, che a quel punto deve essere, per forza di cose, eccezionale: che si tratti di milk shakes, frullati, mocktails o cappuccini sfarzosi realizzati con la latte art.
The post Aprire e Gestire un Bar Bianco first appeared on Aprire Un Bar.]]>Niente di meglio che iniziare l’anno con una guida ai principali fare/non fare nel mondo dei bar e della ristorazione: lo sa bene Uber Eats, il colosso americano delle consegne a domicilio, che a gennaio ha rilasciato il proprio report con le statistiche dei cibi più richiesti, ordinati e diffusi tra gli utenti nel 2019, in pratica in nuovi business per un locale per l’anno che verrà… cogliendo l’occasione per fare qualche previsione sulle tendenze da aspettarsi quest’anno in ambito alimentare.
Se pensiamo, del resto, che queste ricerche siano poco affidabili e più adatte a raccogliere likes, pensiamo bene che sistemi come Uber Eats, o Deliveroo o similari guadagnano sulle consegne (anche se il cibo non è prodotto da loro) in pratica, più azzeccano i prodotti di successo, più guadagnano! A proposito, se volete associare il vostro locale a Uber Eats o similari, leggete prima questo post.
I risultati hanno evidenziato che chi ordina cibo a domicilio opta sempre più spesso per piatti a base vegetale, verdure e legumi, zuppe e brodi, ma anche frutta esotica. Secondo Jeanette Mellinger, responsabile della ricerca, le preferenze dei clienti si stanno spostando in massa verso quei cibi considerati sostenibili e salutari: trend che evidenzia una maggiore sensibilità sociale ed ecologica, oltreché la netta vittoria della qualità del prodotto sopra altri fattori, come il prezzo o la quantità.
Più in generale, parlando di opportunità commerciali per i bar e la ristorazione, il report di Uber Eats sottolinea 6 principali business per i locali, in voga dallo scorso anno e destinate a svilupparsi ulteriormente nel 2020.
Come già detto, nel 2020 verranno premiati tutti quei locali in grado di dare al cliente prodotti biologici e piatti prevalentemente a base di verdure. Si tratta di un trend iniziato già da qualche anno e che dal 2018 ha preso piede in maniera sempre più costante: cresce il numero degli individui che seguono una dieta vegana o vegetariana, come anche di quelli che scelgono opzioni integrali.
Nell’ambito dei bar, una tendenza molto forte di cui tenere conto è quella delle alternative al latte: i consumatori infatti si rivolgono sempre di più a prodotti che non contengono lattosio, come il latte di avena, di soia o di mandorla.
Oltre al tipo di offerta, un altro aspetto emerso dalla ricerca è la recente sensibilità ecologica di molte fasce della popolazione: sono quindi favoriti tutti quei business che includono nella loro agenda (di vendita, di marketing o comunicazione) politiche commerciali eco-sostenibili, ad esempio vietare le cannucce di plastica o scegliere di usare solo bicchieri in vetro e carta riciclata.
Anche se le notizie di questi mesi (mentre stiamo scrivendo a spaventare il mondo è il nuovo coronavirus orientale) sembrano dire il contrario, anche la tendenza del cibo asiatico si è affermata da qualche anno e vedrà incrementare la propria popolarità nel 2020. Piatti asiatici come il sushi e il ramen, ma anche i takoyaki, gli udon e il kimchi, una pietanza coreana a base di cavolo, occupano un posto d’onore tra le preferenze dei consumatori sia per il carattere esotico delle ricette sia per i sapori particolari e ricercati di alcuni prodotti tipicamente utilizzati. Alla fine basta pensare a quanti, tra noi, hanno iniziato a usare la soia come sostituto del sale. La cucina asiatica tende inoltre ad essere molto ricca di proteine e fa ampio uso di spaghetti di soia e di riso, avvalorando l’idea generale che la vede come una dieta alimentare più salutare delle altre.
Curioso notare che spesso la cucina orientale, all’estero, viene mixata, in un ardito fusion, con quella sudamericana; tendenza sviluppata, questa, con al forte migrazione Nipponica in Sudamerica (sopratutto Brasile) negli anni ’50.
Parlando di cucina orientale, un tipo di business che ancora non si è del tutto affermato ma che sta prendendo piede è quello relativo alla pasticceria asiatica: per Uber Eats, sono sempre di più i clienti che ordinano dolci coreani e giapponesi, come i dorayaki (simili a pancakes), la famosa “torta nuvola” (cheesecake giapponese), il gelato taiyaki (fornito con coni di cialda a forma di pesce) o il “pineapple bun”, panino dolce all’ananas di origine cantonese.
Il report di Uber Eats individua un’altra tendenza, nata con l’avvento dei social network e destinata a crescere in maniera costante, nelle preferenze dei consumatori verso quei piatti e cibi considerati piacevoli da vedere, estetici: in una parola, “instagrammabili”.
Vale l’imperativo “anche l’occhio vuole la sua parte”. In una cultura del cibo alimentata da Instagram, i cibi esteticamente gradevoli possono aumentare di popolarità rapidamente: è stato questo il caso della carambola (anche “frutto stella”), che in America è diventata un must per tutti gli aspiranti food blogger, in quanto si presta benissimo a creare una fantastica immagine sui social media. Stessa cosa per quanto riguarda gli spaghetti al nero di seppia, visivamente attraenti per via del colore scuro e ricercato.
A fare gola al cliente poi sono le situazioni in cui l’impiattamento gioca un ruolo fondamentale: nel mondo dei bar e delle caffetterie aumenta l’importanza di tecniche come la latte art, mentre crescono in popolarità le tisane esotiche, i tè e le bevande (ma anche i piatti) a base floreale, dove il colore e la decorazione svolgono una funzione di presentazione essenziale.
La notizia stavolta non arriva da Uber Eats, ma dall’azienda concorrente Yelp: i cocktail analcolici stanno crescendo in popolarità e sempre più bar offrono bevande deliziose ma senza alcool, a base di centrifughe, succhi, tinture e infusi.
Nato in America ma diffusosi rapidamente nel Regno Unito e nel resto d’Europa, il mocktail (fusione delle due parole “cocktail” e “mock”, che significa “finto”) si basa sulla reinterpretazione di cocktail classici o mix originali, ma rigorosamente privi di alcol. Si tratta di un’altra tendenza nata per rispondere alla crescente attenzione dei consumatori verso la propria salute e la qualità dei prodotti consumati. L’unione di queste due componenti ha portato all’ampliamento dell’offerta di alternative analcoliche. Esse sono giudicate più salutari e “responsabili” da ormai ampia parte dei frequentatori di bar, nonché perfettamente fruibili da astemi e dai guidatori del venerdì sera.
A tutti i bar, Yelp raccomanda di creare una lista di quattro o cinque mocktail ispirati ai grandi classici (gin tonic, americano, long island) perché nel 2020 potrebbe addirittura nascere la moda dell’aperitivo analcolico e delle serate alcol-free.
Mentre dieci anni fa i cocktail bar erano per lo più stanze piccole, spesso illuminate da poche luci soffuse, con un numero minimo di posti a sedere, adesso la maggior parte dei locali sta optando per location ampie, spesso all’aperto o comunque luminose, più casual e divertenti. Se prima si trovavano banconi grossi e lunghi, che occupavano metà dello spazio, adesso la postazione del bar è ridotta al minimo e viene invece dato posto ai tavoli e alle sedie per i clienti. Cocktail bar nati nei seminterrati o sviluppati su più piani, in verticale, si stanno spostando verso locali larghi, magari su un unico piano, ma dotati di finestre e di un qualche spazio esterno.
Un business in continua crescita è quello del caffè, bevanda leader nel mondo oggi disponibile in un numero incredibile di aromi e varietà. Adesso, quando entriamo in un bar, possiamo trovare dozzine di opzioni tra cui scegliere, da quelle più classiche alle bevande ghiacciate, passando per la crema di caffè, un must-have dell’estate italiana. Tra le bevande a base di caffè che saranno popolari nel 2020 troviamo appunto il cold brew, che ha davvero conquistato il mondo. Il caffè biologico (in linea con le tendenze salutiste dei consumatori) e tutte quelle varietà in cui al caffè viene aggiunto latte che non contiene lattosio. Sempre nel mondo dei bar, un altro business destinato a crescere è quello del caffè da asporto: verranno favoriti quei locali dotati di più ampia scelta di tazzine e contenitori da asporto, ma soprattutto quelli in grado di fornire il servizio più veloce (d’altra parte le generazioni di oggi sono sempre troppo di fretta). Qui è utile ricordare ciò che abbiamo detto riguardo alla necessità di adottare atteggiamenti e politiche ecologiche. Nel caso dei contenitori per il caffè da asporto, ad esempio, molti bar offrono sconti a quei clienti che usano tazze riutilizzabili invece di optare ogni giorno per una tazza da viaggio usa e getta: si tratta di un duplice risparmio, per l’attività e per il cliente, ed è una delle strategie di comunicazione migliori per conquistarsi la fiducia e la simpatia di una clientela che vuole essere ecosostenibile.
The post I 6 Nuovi Business per Ristoranti e Locali first appeared on Aprire Un Bar.]]>In questi giorni grigi di marzo l’estate appare ancora lontana per la ragazza che sogna alla spiaggia, ma certamente non così lontana per il barista o il gestore di bar. Per lui è già il momento di trovare nuove idee per portare il cliente nel suo locale anche nei mesi estivi in cui il consumo del classico espresso e cappuccino tende a calare.
Fra le preparazioni che negli ultimi anni si sono affermate con più forza nel periodo estivo nei bar sicuramente ci sono le granite, o meglio, le creme ghiacciate, spesso proposte al caffè ma anche alla nocciola, al cappuccino, al cioccolato, alla fragola, allo yogurt, al fiordilatte e via dicendo in un mercato alla continua caccia di nuove proposte per bar.
Queste preparazioni, queste creme al caffè per bar o similari, partono da una macchina, di solito definito granitore per bar (e naturalmente ancora usato per le granite vere e proprie) e da un prodotto liofilizzato, in polvere. vediamo come funzionano.
La preparazione di queste creme parte da sacchetti di prodotti in polvere. Si tratta di mix di liofilizzati contenenti latte e panna in polvere, aromi, zucchero, addensanti e, nelle versioni al caffè, anche caffè liofilizzato, un po’ come il Nescafè. In altre versioni ancora, il caffé vi viene aggiunto dopo, sotto forma di caffè espressi da aggiungere al mix.
Prepararli è semplicissimo, dovremmo miscelare il prodotto in polvere con latte (a volte scremato, a volte addirittura con acqua) è metterlo nell’apposito granitore. Questo avrà, come elemento centrale, una vasca con una coclea rotante che posta su un motore di raffreddamento, congelerà, mantecherà e conserverà il prodotto rendendolo perfetto per un servizio immediato al cliente.
Il barista, eventualmente, potrà scegliere poi di arricchire la preparazione con panna, toppings, smarties o quello che la sua fantasia e il suo gusto riterranno utile per rendere la proposta interessante al cliente.
Apposito granitore appunto. Avere una macchina di questo tipo nel proprio bar comporta, possiamo immaginarlo, un investimento da fare. Investimento importante Il costo di queste attrezzature si aggira di solito, per i modelli a vasca singola, sui 1000€, cifra che per molti locali rischia di essere l’incasso di 3 o 4 giorni di lavoro, un investimento importante quindi, anche senza parlare dei modelli a più vasche, capaci di preparare e tenere pronti per il servizio diversi gusti nello stesso momento.
Investimento importante, è vero, ma con una considerazione da fare. Per prodotti di questo tipo serve una macchina, abbastanza costosa per un bar medio. Questa macchina, una volta installata, verrà usata per lavorare i prodotti di una sola azienda, e questa azienda avrà tutto l’interesse nel conquistare il cliente (che per lei non è il frequentatore del bar, ma il gestore) dandogli la macchina, il granitore in comodato d’uso, che ripagheremo, manco a dirlo, acquistando il prodotto, la polvere, ad un prezzo assai alto.
L’avete riconosciuto? Sì, è lo stesso meccanismo del caffè, o dei caffè liofilizzati, al ginseng e così via (a proposito, volete sapere come si fa ad avere una macchina da caffè in comodato d’uso gratuito da una torrefazione, leggete questo post) LINK. Anche in questo caso macchina “regalata” dalla torrefazione, che recupera l’investimento aggiungendo alcuni Euro per ogni chilo di caffè che fornisce al bar.
Nel caso dei granitori il concetto è lo stesso. Ma a chi si chiede il granitore in comodato d’uso per i bar? Innanzitutto alla torrefazione stessa. Non sono poche infatti, quelle che hanno nel loro catalogo prodotti per la crema di caffè che nella stragrande maggioranza dei casi non producono, ma che si fanno impacchettare, con il loro marchio, da qualche industria alimentare specializzata in liofilizzati.
Altrimenti si chiedono alle aziende che producono questi liofilizzati. Fra queste sicuramente Sirea, Natfood, Antica Gelateria del corso, Oasis, Almar e altri ancora…
Quasi tutte queste aziende offrono contratti che permettono di avere il granitore per bar in comodato d’uso gratuito, oppure con un contratto di rateizzazione. In alcuni casi, per avere la macchina per la crema di caffè fredda per bar, vengono richiesti dalle aziende investimenti di entrata (ad esempio per acconto sulla macchina e per l’ acquisto del primo stock di prodotti) investimenti sul ordine di 500/1000€.
In alcuni casi, prendendo una macchina da caffè freddo in uso gratuito si è tenuti a sottoscrivere un contratto che obbliga al consumo di almeno un tot di prodotti. In altri casi invece, soprattutto con le torrefazioni, non ci sono vincoli specifici. In alcuni casi ancora è possibile ottenere una clausola secondo la quale, dopo una certa quantità di prodotti consumato, la macchina diventa nostra.
Chi ci da il granitore in comodato d’ uso ci fornisce di solito anche materiale pubblicitario per proporre i prodotti, ad esempio cartellini, lavagne e adesivi, così come menu e ricettari.
In compenso dovremmo prepararci a pagare il prodotto abbastanza caro. I prezzi dei preparati per crema di caffè freddo che si trovano sul mercato vanno infatti dai 15 ai 25€ al chilo, ma con il graniture in comodato d’uso gratuito potremmo trovarci a pagare anche il doppio, come rientro sull’investimento per l’azienda che ci ha fatto il comodato.
Le aziende che forniscono i granitori, in compenso, promettono margini importanti. I prodotti che abbiamo visto pubblicizzati parlano di margini dal 60 fino all’80%. Sarebbe niente male, visto che che offrirebbe un food cost LINK del 27/30%. Niente male, ma sarà necessario proporre questi prodotti al meglio, visto che ormai sono offerti in quasi tutti i locali. Per farlo, cerchiamo di arricchire queste creme fredde con ricette che arrivano dalla nostra creatività, e magari facciamole assaggiare, in piccola quantità, gratuitamente. Sarà un piccolo sforzo economico che ci ripagherà!
Il franchising di patatine fritte: la fila fuori da Frites Atelier.
E’ davvero curioso come variando il contesto in cui viene servito un prodotto si possa variare tantissimo la percezione dello stesso.
Tempo fa avevamo dedicato un post al riguardo per gli hamburger, che negli anni avevano compiuto una mutazione quasi sociologica, da peggior cibo spazzatura a prodotto gourmet, con molti ristoranti di alto livello che vi si dedicano, con salse raffinate e tagli di carne prestigiosi (se siete interessati a questo post lo trovate qui).
Oggi vorremmo parlare invece di un prodotto attiguo (molto, di solito sullo stesso piatto) dell’hamburger, uno snack che anche molti bar (e non solo ristoranti) possono mettere, senza troppe infrastrutture, nel loro menù: le patatine fritte.
A permetterci di ragionare su questo prodotto è un locale che abbiamo visto in una recente trasferta ad Anversa, in Belgio, dove, camminando per strada, non abbiamo potuto non notare una massa di persone in fila (ordinata, siamo pur sempre in Nord Europa) fuori da un locale. Abbiamo chiesto lumi al nostro accompagnatore locale, che ci ha detto, con un sorriso, che il locale serviva una cosa sola: le frites belghe, le patatine fritte!
Ora, è vero che le patatine fritte sono più o meno il piatto nazionale belga, ma pensare ad un locale che vende
Ecco le famose patatine di Frites Atelier
solo quelle, e va fortissimo, era un argomento che andava approfondito, ci siamo così messi in fila fuori da “Frites Atelier”. Scambiando due chiacchiere oon chi aspettava, abbiamo scoperto che si tratta di un franchising nato in Olanda per mano di uno chef di alto livello.
Una volta dentro è stato facile rendersi conto che l’ambiente tiene conto del nome: atelier; ed è davvero raffinato, con marmi e cornici nere. Il menù, scritto su un vetro dietro il banco, mette al primo posto le mitiche patatine, a variarle ci pensa una larga scelta di salse che le accompagnano, salse che vengono preparate con ingredienti di qualità, e variate stagionalmente dallo chef del locale. Quelle che abbiamo provato noi, con la salsa al tartufo, erano notevolissime…
E da noi? Quale cliente italiano rinuncerebbe ad una patatina fragrante?
… E se avete dimestichezza con l’olandese, guardatevi questo video!
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