Ultimo aggiornamento: 4 Agosto 2017
Abbiamo un pochino aspettato che si spegnesse la ridda mediatica, che calasse il polverone. Per giorni ogni quotidiano, di stampa o di pixel, ha scritto dello sbarco del colosso americano, alla nostra redazione hanno telefonato perfino diversi quotidiani stranieri per chiederci un parere; ora ci sembra il momento di scrivere qualcosa anche qui, su questo blog dedicato al bar, perché in fin dei conti Starbucks è un bar.
Starbucks: perché in questo post di questa catena parliamo, e della sua decisione, dopo 24.000 aperture nel mondo, di mettere la sua insegna con la sirena verde anche qui da noi, a Milano, dove dovrebbe aprire agli inizi del 2017.
Il tema nei giorni del polverone mediatico è stato: ma c’è posto per Starbucks qui in Italia? Farà bene o farà male ai bar Italiani e alla tradizione del nostro caffè?
Probabilmente l’arrivo di una nuova catena di supermercati di qualità, o di enoteche, non farebbe altrettanto scalpore, e questo perché gli italiani hanno da decenni imparato a pensare che i prodotti da supermercato, o i vini, possano essere buoni, cattivi e diversi; diversi per tipo di mercato e per sensibilità di cliente. Diversità e segmentazioni che però continuiamo a non essere disposti ad ammettere quando si parla della nostra amata tazzina. In Italia l’espresso, buono, cattivo, pessimo o eccellente è, solo e sempre, un caffè, e deve costare Euro uno.
Ecco, Starbucks, ne siamo abbastanza certi, non farà ne bene ne male ai bar Italiani, farà diverso. Non convertirà i bar italiani a preparare cappuccini enormi conditi allo sciroppo, non porterà alla
loro chiusura e nemmeno ci costringerà a bere frappuccini se non lo vorremo. Sarà semplicemente qualcos’altro.
Del resto lo sbarco, decenni addietro, di Mc Donald, non ci ha portato a mangiare solo pessimi hamburger, e le code che troviamo per il cheeseburger non hanno svuotato le migliori pizzerie o le trattorie che fanno fantastici tortellini… (semmai, per fenomeno di rimbalzo, ci ha portato a riscoprire, con il fenomeno slow, tantissime meraviglie gastronomiche del nostro territorio, e l’hamburger di alta qualità è stato ormai ampiamente sdoganato, come vediamo in questo post).
L’arrivo di Starbucks ci permetterà probabilmente di provare, e magari di riprovare per chi è stato all’estero, una esperienza, e dopo i primi tempi in cui ci divideremo, come scriveva Umberto Eco, in apocalittici e integrati, in quelli che accettano entusiasticamente le novità e quelli che le rifiutano a priori, tutti finiremo per fruire di Starbucks, semplicemente, quando ne avremo voglia.
Semmai Starbucks potrebbe mettere in difficoltà quei gruppi che, sfruttando la sua assenza sul nostro territorio, lo hanno più o meno scopiazzato. Così come era successo per diverse burger-catene prima dell’arrivo di Mc Donald, adesso, gli Starbucks denoaltri potrebbero soffrire l’arrivo del celebre capotendenza.
Ah, anni fa scrivemmo di come si poteva aprire un McDonald in franchising, adesso vi togliamo subito il dubbio: Starbucks in franchising non si può aprire ma possiamo provare a fare di meglio, magari, intanto, leggendo i 12 principi del successo secondo il fondatore di Starbucks, Howard Shultz.
PS: abbiamo scritto questo post nell’aprile 2016, quando lo sbarco di Starbucks a Milano sembrava imminente. Adesso però (siamo nell’agosto 2017) tutto sembra fermo, e comunque rimandato al 2018. I problemi, sembra, sono di carattere burocratico… Forse è l’Italia, con la sua burocrazia complicata, a cambiare Starbucks?