E’ ormai dall’apertura di questo blog, otto anni fa, che scriviamo come, per aprire un bar o un ristorante non servono più le vecchie licenze, si deve invece presentare una SCIA, di fatto una autocertificazione, in cui segnaliamo di possedere i requisiti morali e professionali e certifichiamo che il locale dove stiamo aprendo la nostra attività è in linea con le normative vigenti, anche in relazione al tipo di piatti e preparazioni che vogliamo proporre ai nostri clienti.
Normative vigenti abbiamo detto, ma quali sono? Come sappiamo, le regioni italiane hanno una certa autonomia, e se le leggi, come schema, sono approvate a livello nazionale o addirittura di comunità europea, in realtà queste vengono poi applicate a livello regionale in modo diverso da un contesto all’altro.
Queste differenze non sono di solito molto grandi, anzi, capita spesso che la legge di una regione “guida” venga copiata quasi punto per punto dalle altre regioni (si sa che i politici non sono dei grandissimi lavoratori…).
Non essendo più valido il concetto delle licenze, le autorizzazioni vengono rilasciate se il locale in cui vogliamo aprire la nostra attività è in linea con le attuali normative di carattere igienico sanitario.
Queste normative vanno a “misurare” il nostro locale, stabilendo i parametri che devono avere i bagni, gli antibagni, i magazzini, le aree di preparazione come la cucina e stabilendo le norme di accesso per i disabili e le proporzioni fra gli spazi interni e la luce esterna e fra area di preparazione e area di servizio al pubblico.
Queste norme possono inoltre differenziarsi, caso per caso, a seconda delle preparazioni che vorremo cucinare e servire.
Abbiamo già riassunto queste norme generali in questo post, ma proviamo ad andare oltre, dandovi una lista di tutte le normative regionali.
Nella lista qui sotto riportiamo i riferimenti alle leggi regionali per l’apertura di bar e ristoranti:
Alcune annotazioni a piè di questa lista.
Alcune regioni, come vedete, non sono presenti, in questi casi si fa riferimento alla legge nazionale 287/1981 e alle successive modifiche.
Acuni comuni hanno predisposto, per alcune aree del loro territorio specifici regolamenti; in questo caso, invece (o oltre) della SCIA , si dovrà richiedere una Autorizzazione all’esercizio della attività di pubblico esercizio, presentando domanda al SUAP.
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Quando pensiamo ad aprire un bar o un pub, come una qualsiasi altra attività, una delle prime cose da fare è aprire una partita IVA. Tecnicamente parlando la partita iva è una serie di 11 numeri che identificano a fini fiscali la società o la persona fisica che ne è titolare. Il numero di partita IVA non cambierà mai durante la nostra attività, se la chiuderemo dovremmo aprirne una nuova in caso di ripresa delle attività.
Durante la vita della nostra attività la partita IVA sarà necessaria per sbrigare tutta la parte fiscale, quindi, sopratutto per emettere le fatture e per pagare i contributi al fisco e alla previdenza sociale.
Per aprire una partita IVA, anche dopo le ultime modifiche del 2016 e 2017, bisogna presentare richiesta all’Agenzia delle Entrate, la quale provvederà ad attribuire a chi la richiede il codice, il numero di partita IVA. La richiesta è costituita da una dichiarazione di inizio attività che dovrà essere consegnata entro 30 giorni dall’avvio della propria attività. Il modulo per la dichiarazione è diverso a seconda del nostro tipo di impresa, qui sotto potete scaricare i moduli
I modelli andranno poi consegnati ad un ufficio della Agenzia delle Entrate insieme ad un proprio documento di riconoscimento, ma adesso è possibile anche farlo per mail, con un software che si può scaricare dal sito della Agenzia delle Entrate.
Sembra meraviglioso, ma è vero: aprire una partita Iva è del tutto gratuito!
Se aprire una partita Iva è gratuito, L’IVA rimane comunque una tassa (Imposta sul Valore Aggiunto) che anche nei paesi inglesi si chiama VAT (value added tax) ne deduciamo quindi che l’IVA esiste e si paga anche se apriamo un bar all’estero (peraltro esiste nel comunità Europea dal 1972).
Come concetto si tratta di una tassa un po’ bizzarra. Si tratta di una tassa sui consumi, quindi se non compriamo niente non la paghiamo. A pagarla poi è, di fatto, solo il consumatore finale; in tutti gli altri passaggi intermedi, quelli che avvengono fra operatori dotati di partita IVA, c’è un calcolo dell’IVA a credito o a debito, ma non un pagamento, se non quello risultante dalla differenza fra credito e debito
Facciamo un’esempio di come funziona l’Iva, usando le mele come si faceva da bambini, sperando che sia chiaro e supponendo che l’aliquota iva sulla somministrazione fosse la stessa per tutti i passaggi della catena:
A complicare il ragionamento dobbiamo aggiungere un elemento: l’aliquota sulla somministrazione. Nei bar e nei locali in genere infatti ci sono due aliquote diverse:
Le casse moderne dei bar e dei ristoranti (potete leggere qui un nostro post) hanno molti tasti, per ognuna delle voci in menù e per l’asporto. Normalmente ogni tasto è già impostato sulla giusta aliquota IVA.
The post Cos’è la Partita IVA per Aprire Bar e Ristoranti first appeared on Aprire Un Bar.]]>Probabilmente molti di noi, da più o meno giovani, hanno subìto, per entrare in un locale o una discoteca fighetta, una specie di esame da parte di qualche “buttafuori” che in base a parametri di abbigliamento e di aspetto aveva facoltà di decidere se eravamo “degni” o meno di entrare in quel locale.
Probabilmente questa pratica, abbastanza fastidiosa, ci sarà piaciuta ben poco, ma ora che siamo più o meno cresciuti e abbiamo aperto il nostro locale può darsi che non ci spiacerebbe poi molto poter dire di no a qualche cliente fastidioso; ma un bar può vietare l’ingresso ad un cliente?
A termini di legge no. Sia la discoteca che applica la “selezione all’ingresso” sia il nostro bar, sono esercizi pubblici, e quindi, dice la legge “Salvo quanto dispongono gli artt. 689 e 691 del codice penale, gli esercenti non possono senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo“. In pratica, un bar non può proibire l’ingresso a nessuno!
La selezione all’ingresso è quindi una pratica, di fatto, illegale, e per legge noi siamo tenuti a far entrare chiunque lo voglia. Abbiamo però visto che la legge pone, come eccezione, due articoli, che però non hanno a che fare con l’ingresso nel locale, ma con il servizio di bevande alcoliche.
Tecnicamente non possiamo quindi vietare l’accesso nemmeno a persone palesemente pericolose, magari sotto l’effetto di stupefacenti e alcolici (purtroppo nella nostra carriera dietro al bancone ci è successo molte volte). Sono situazioni delicate e rischiose, che senz’altro vanno gestite con attenzione e cercando di capire il contesto (a volte ha funzionato una certa freddezza, pagamenti in anticipo e poche parole, che fanno capire al ceffo che proprio non è benvenuto, mentre altre volte bisogna incassare piccole angherie sperando che il cliente sia di passaggio per una sola volta). In una occasione funzionò il fatto di far trovare nel bar (sapevamo che il cliente scomodo sarebbe arrivato) dei carabinieri in borghese, come normali clienti, che, quando il cliente passò, come costume, alle minacce, lo prelevarono come se fossero stati lì per caso…
The post Un Bar Può Vietare l’Ingresso ad Alcuni Clienti? first appeared on Aprire Un Bar.]]>Calcolare il numero di clienti seduti, il numero di tavoli e sedie che può ospitare un locale non serve veramente in buona parte dei bar “di passaggio” dove il consumo avviene soprattutto in piedi. In questi casi può essere molto più importante valutare la giusta lunghezza del bancone (vediamo un post qui su questo argomento) che deve essere sì sufficiente, ma non può essere calcolata soltanto tenendo conto dei clienti cui dovrà permettere di accedere, bensì anche il numero di operatori che dovrà ospitare (un barista solo dietro un banco molto lungo diventa un maratoneta stravolto che fa solo aspettare i clienti) e della disposizione di vetrine e attrezzature.
Calcolare il numero di posti a sedere in un bar o ristorante diventa però molto importante quando si suppone che i clienti fruiranno del nostro locale in tempi più lunghi. Fra questi casi:
In locali come questi il numero di posti a sedere può fare la differenza, quando si calcola se si raggiungerà o no il punto di pareggio con gli incassi. Come si calcolano allora i posti a sedere, le sedie che possiamo mettere nel nostro locale?
Per capirlo cominciamo a ragionare sugli spazi di occupazione. Un tavolo quadrato, (i più comuni nei locali) misura di solito fra 80×80 o 90×90 (anche se si trovano, in locali “fast food” perfino di 60×60) le sedie, anche se poste parzialmente sotto il tavolo, arrivano a 40X40; a questo vanno aggiunti circa 30/40 centimentri per il passaggio fra un tavolo e l’altro.
Moltiplicando il tutto si arriva, per un tavolo con 4 posti a sedere a 4,80/5 mq, quindi circa 1,20 metri quadrati per seduta.
I manuali parlano di fatto di:
Quest’ultima è una distinzione molto presente sui siti americani di Food and Beverages management, e si riferisce ai ristoranti stellati, di alto livello, dove si suppone che il cliente debba sentirsi meno “accalcato”.
E’ da considerare come diverse ASL (e anche tabelle degli studi di settore che abbiamo potuto valutare) considerano il primo dato, quindi un posto a sedere ogni 120 centimetri quadrati, come quello di riferimento, e su quello calcolano misure di sicurezza e valutazioni degli incassi.
Può inoltre essere importante considerare come anche le misure della cucina, nei locali di nuova apertura, devono essere rapportate al numero di posti a sedere (di solito 20 metri quadri di cucina per 50 posti).
Se queste sono le regole, chiudiamo però con due cose importanti:
Una coppia che sta aprendo un bar ci ha segnalato recentemente di aver ricevuto diversi bollettini postali come quelli che vedete nelle foto (potete cliccarci sopra per allargarle). I nomi delle strutture che inviano questi bollettini di pagamento variano, così come varia il numero di conto a cui essi fanno riferimento.
Gli elementi truffaldini invece rimangono più o meno invariati, vediamoli:
Sono delle truffe, è chiaro. Non nella sostanza (per questo sono per legge poco perseguibili) in quanto riferiscono ad un semplice e volontarissimo abbonamento ad una forma pubblicitaria, ma sicuramente nella forma.
State attenti, leggete sempre tutto con attenzione!
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Finanziamenti, periti che possono supportarci nell’apertura di un nuovo locale, corsi di formazione obbligatori; durante lo svolgimento del nostro corso di apertura e gestione bar spesso veniamo in contatto con associazioni di sindacato.
Queste si chiamano Confesercenti, così come Confcommercio e Confartigianato, e nascono per supportare si dal punto di vista sindacale, cioè per portare avanti, in una voce unitaria, i bisogni sociali della categoria, ma anche, e negli ultimi decenni sopratutto, per offrire servizio e assistenza ai nuovi e “non nuovi”imprenditori del mondo del pubblico esercizio.
In realtà strutture come Confesercenti offrono assistenza non solo a chi lavora nel campo della ristorazione, ma anche in altri campi del commercio e della piccola imprenditoria (per esempio il commercio ambulante). Questo blog però parla di bar e ristoranti, e oggi siamo andati ad intervistare Santino Cannamela, pasticcere e storico presidente della sezione “pubblici esercizi” della Confesercenti fiorentina.
D. Santino, potresti dirci cosa fa Confesercenti per i pubblici esercizi?
Confesercenti, è un’associazione di categoria che rappresenta le piccole e medie imprese italiane del commercio, del turismo e dei servizi, dell’artigianato e della piccola industria. E’nata nel ’71 e adesso conta oltre mille sedi in tutta Italia. La FIEPET (Federazione Italiana Esercenti Pubblici e Turistici) la sua sigla dedicata a baristi e ristoratori, che supporta sia come sindacato di tutela (ad esempio nella stesura e firma dei contratti nazionali) sia, sopratutto, di servizio, i locali dedicati all’ospitalità, ad esempio supportandoli nella apertura di locali, per contabilità e formazione e, negli ultimi anni, per accompagnare le start-up.
D. Poniamo di essere un giovane che vuole aprire una attività di ristorazione, come mi aiutate?
Per aprire la sua attività ci sarà innanzitutto bisogno di stendere un business plan, sia per fare i conti giusti sia per, eventualmente, presentarlo a strutture di finanziamento. Ecco, il nostro lavoro comincia nell’aiutarlo a preparare questo documento e prosegue con un supporto per i primi due anni con un pacchetto di consulenza attivo, dal punto di vista contabile e di marketing. Questo pacchetto è così rilevante che le banche concedono finanziamenti più facilmente finanziamenti a chi lo sottoscrive; una importante forma di garanzia insomma.
Ancora il nostro ragazzo può prendere parte, lui e il suo staff, ai corsi obbligatori a prezzi agevolati, e, ancora a livello di finanziamenti, può accedere a Confidi, la struttura di Confesercenti che si occupa di garantire, dal punto di vista finanziario, i mutui concessi ai suoi associati.
D. Come ci si iscrive a Confesercenti?
Niente di complicato, basta andare in una delle oltre mille sedi in Italia e associarsi con un tessera base a 140€, che sale eventualmente in funzione della complessità societaria dell’attività. E’ da notare come, appena associati, si gode subito di un pacchetto di convenzioni estremamente convenienti. Ad esempio la convenzione con SIAE permette di pagare a metà di quanto dovuto, recuperando quindi, in molti casi, il costo della tessera Confesercenti. Anche i pacchetti di tenuta contabilità e servizio paghe sono concorrenziali rispetto al mercato.
D. Confesercenti è nata però anche come struttura politica, per portare avanti istanze o bisogni comuni della categoria, come si relaziona adesso a queste tematiche?
Le porta avanti focalizzando la realtà dei nostri tempi, ad esempio schierandosi contro l’apertura selvaggia dei centri commerciali, non per demonizzarli, ma perché, sopratutto quando cominciano ad ospitare servizi come studi medici e poste, finiscono per svuotare la città stessa, togliendogli il suo ruolo storico di centro di aggregazione.
Le battaglie di Confesercenti però non sono solo di contrasto, ma anche di supporto alle amministrazioni, ad esempio nella lotta al degrado urbano o al contrasto dell’abuso di alcolici.
D. La vostra è una importante finestra sul mondo dei pubblici esercizi, cosa serve oggi ai giovani imprenditori?
Purtroppo tendono a improvvisarsi, pensano che il commercio sia facile, che basti aprir bottega per cominciare a guadagnare. Con queste convinzioni manca la voglia di formarsi adeguatamente, mentre il futuro si specializza invece sempre più, e sempre più avremo bisogno di formazione; ormai non basta più ‘esperienza fatta sul campo, magari nella bottega del papà. Il mercato cambia perfino in pochi mesi, mentre fino agli anni ’90 cambiava a cicli decennali. E’ necessario formarsi, e saper analizzare i cambiamenti del mercato
D. Come si può sapere di più su Confesercenti?
Sul sito http://www.confesercenti.it/ e agli sportelli dei nostri uffici dislocati in tutta Italia.
Dal 13 dicembre 2014 è in vigore in Italia la nuova legge sugli allergeni per i bar, ristoranti e per tutte le attività che hanno a che fare con la alimentazione e ristorazione collettiva, come mense aziendali e scolastiche.
Questa legge, è chiaro, ha a che fare con la sempre più elevata diffusione delle allergie alimentari, come, forse più nota, la celiachia (abbiamo visto regolamentazioni e idee per aprire un bar per celiaci in questo post) . In questo senso sono state individuate 14 categorie di cibi a cui i clienti possano essere intolleranti o che possono dare allergie:
Prima di andare avanti nel nostro lavoro da baristi e gestori di bar vediamo però di capire cosa si intende quando si parla di allergie o di intolleranze alimentari.
In pratica, nelle allergie il nostro organismo lotta contro un tipo di cibo, mentre nelle intolleranze non è in grado di usare quel cibo.
Abbiamo visto però come il risultato, i sintomi, sono gli stessi, medesima dovrà quindi essere l’attenzione che porremo all’utilizzo e alla comunicazione degli ingredienti che possono dare problemi e malesseri ai nostri clienti.
Se gli ingredienti che possono dare reazioni allergiche o intolleranze vengono riportati da anni nei packaging dei prodotti confezionati, la nuova legge richiede di evidenziarne la presenza anche in prodotti non confezionati, sia che essi siano esposti al pubblico (come la pasticceria da banco o i gelati) o che siano elencati in un menù (ad esempio negli gnocchi con le noci o nel tramezzino con la maionese, quella fatta con l’uovo ;-).
All’atto pratico, nella gestione del bar, gli OSA (i responsabili del sistema HACCP, come abbiamo visto in questo post) dovranno predisporre diverse modalità di comunicazione al pubblico delle eventuali sostanze allergizzanti che vengono lavorate nel locale. Per farlo si usano tre modalità principali:
Oltre al libro o alle tabelle ci sarà poi da tener presente che un cliente potrebbe entrare in contatto e ingerire sostanze allergeniche a causa di contaminazioni crociate che potrebbero verificarsi il cucina; immaginatevi per esempio se dopo aver tagliato su un tagliere dei pezzetti di formaggio feta per una insalata greca non sciacquate lo stesso tagliere prima di tagliarvi pomodori che userete per una persona con intolleranze al formaggio…
In questo senso l’OSA dovrà valutare attentamente le procedure di lavoro del locale, individuare eventuali rischi di contaminazioni crociate e mettere in campo misure per contenere questo rischio.
La formazione, naturalmente, non è scindibile da un’approccio come questo, e ci chiede di formare il nostro personale, in modo che sappia rispondere in maniera precisa alle domande della clientela in merito della presenza di eventuali allergeni.
Potete trovare gli articoli che compongono la legge sugli allergeni in questo allegato: note intervista 1
Abbiamo fino ad adesso raccontato cosa la legge impone, ma questo blog cerca di vedere le cose dalla parte del barista, dalla nostra parte. E’ per questo che abbiamo cercato di riunire una serie di menù che riportano, in vari modi, la presenza degli allergeni, in modo da dare, al barista e al ristoratore, alcuni spunti da poter usare sul suo listino, magari con un po’ di classe e simpatia…
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Le assicurazioni, diceva un bancario che conoscevo, sono quelle cose costose, inutili e antipatiche finché non succede niente, poi di colpo diventano decisive il centro della aspettative.
Per scrivere questo post siamo andati a disturbare Giorgio Campagnano, il creatore della start up mioassicuratore.it un sito in cui è possibile individuare le migliori tariffe per assicurarsi, noi, ma anche il nostro locale.
D. Giorgio: i locali devono assicurarsi obbligatoriamente?
No, nessuna assicurazione è obbligatoria, diciamo che due forme di assicurazione possono essere definite “caldamente consigliabili”: la cosiddetta RCO (Responsabilità Civile verso Operatori) che si stipula per tutelare chi lavora nella struttura, e la RCT (Responsabilità Civile verso terzi) riferita naturalmente, e sopratutto, ai clienti.
D. In percentuale, quanti sono i locali che la stipulano?
Molto pochi, nonostante non abbia costi particolarmente elevati e possa essere, in certi momenti, davvero fondamentale: pensiamo a cadute sulle scale, ingestione di alimenti avariati o avvelenamenti accidentali…
D. Ripartiamo dall’inizio: al di la della obbligatorietà, quali assicurazioni sarebbero suggeribili per un locale?
Potremmo riassume consigliando di assicurarsi contro quei rischi per cui si rischia il fallimento del locale ed enormi problemi a livello personale; quindi sopratutto i danni alle persone. Di solito, ad esempio, non si consiglia di stipulare polizze per furti o atti vandalici. Visto che questi possono essere moltissimi, di piccolo importo e difficili da controllare e gestire, non piacciono alle compagnie assicurative, che tendono ad applicare franchigie (la parte di danno che le assicurazioni non pagano) molto alte.
Un’altra polizza che può essere utile per un locale è quella contro gli incendi, e sopratutto quella che prevede una “diaria da interruzione” cioè una somma corrisposta per ogni giorno in cui, conseguentemente all’incendio, il locale rimane chiuso.
Ancora: per una attività “a porte aperte” come quella di un locale potrebbe essere utile una polizza di tutela legale, che copre le eventuali spese legali del locale, per esempio un avvocato in caso di denunce per rumori molesti…
D. Una volta deciso per cosa ci si vuole assicurare dove si trova la migliore assicurazione per il bar?
Ormai la strada obbligata per trovare l’assicurazione giusta è l’online. Nel caso del nostro sito, ad esempio, è possibile digitare “assicurazione ristorante” sul motore di ricerca interna, quindi si immettono i dati del locale e si clicca su una serie di garanzie che vorremmo. A quel punto appariranno i preventivi delle varie assicurazioni e i relativi massimali assicurati.
D. Qualche consiglio?
Beh, mi tocca parlar bene del nostro lavoro, visto che, per dirne una, offriamo anche la possibilità di tenere, in area utente, tutti i documenti inerenti la assicurazione, così da non doverli stampare e senza impazzire a cercarli… Parlando delle compagnie di assicurazione le migliori sono quelle grandi, che, diciamolo, sono più certe nel pagamento degli indennizzi. Forse, detto fra noi, mi sentirei di consigliarne una triestina molto grande.
D. Se qualcuno dei nostri lettori avesse bisogno di ulteriori informazioni?
Può contattarmi senz’altro a [email protected] , ma possiamo fare anche di più: potremo fare 10€ di sconto sulle polize a chi dirà di arrivare da questo post!
Giorgio ci ha raccontato un sacco di cose interessanti sulle assicurazioni di bar e locali, ma quanto costa, quali sono i preventivi per assicurare un ristorante o un locale commerciale?
Per capirlo siamo andati oggi (novembre 2017) a cercare alcuni siti che propongono preventivi di assicurazioni per bar online, e abbiamo fatto una simulazione.
Abbiamo inserito i dati di un bar tipo, con queste caratteristiche:
e abbiamo chiesto dei preventivi per una assicurazione base, che ci sono stati forniti in pochi secondi, e di cui riportiamo la schermata qui sotto:
In realtà il sito in cui abbiamo cercato permette moltissime personalizzazioni, e di fatto ci permette di scegliere cosa vogliamo assicurare. Ad esempio abbiamo notato come in questa assicurazione base non siano comprese le assicurazioni contro:
Insomma, l’assicurazione di un locale può essere un po’ un modello Ikea, tutto da montare.
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Fra gli strumenti professionali di ultima generazione per bar e ristoranti che hanno avuto più fortuna, o comunque più notorietà negli ultimi anni, sicuramente c’è l’abbattitore di temperatura. Si tratta di uno strumento che può essere perfino fondamentale per locali come le pasticcerie, che lavorano molto prodotti deperibili, e hanno bisogno, subito dopo la cottura di semilavorati come la crema pasticcera, di abbassarne subito, rapidamente, la temperatura.
Per parlarne con maggiore cognizione di causa siamo andati a chiedere a Michele Marsi, biologo Pisano, di cosa si parla quando si parla di abbattitore di temperatura
Diciamo che si tratta di un congelatore potentissimo ad aria forzata (intorno ai -40°) che raffredda rapidamente i cibi, portandoli, per fare un esempio fra i più classici, una crema a base di uova da 90 gradi a 3° in meno di un’ora e mezzo. La temperatura, in questo caso, viene rilevata al cuore del prodotto, dentro, da una sonda che vi viene inserita.
La storia ci dice che questo prodotto è entrato massicciamente nella ristorazione italiana sopratutto con l’esplosione del consumo di pesce crudo, come il sushi, pesce crudo che, se mantenuto ad una temperatura inferiore di -20 °C per un periodo continuativo di 24 ore inattiva un parassito noto come anisakis, che può provocare gravi danni all’organismo umano.
Tempo fa questi abbattitori venivano divisi in “positivi”, se capaci di far scendere la temperatura dell’alimento fino a 3° o Negativi se capaci di surgelarlo a -18°. Al giorno d’oggi, e sopratutto per l’uso che viene fatto degli abbattitori di temperatura per pasticcerie e bar si intende uno strumento che porta gli alimenti a 3°; è spesso quello che chiedono le ASL.
Diciamo che è ormai abbastanza presente nei ristoranti, abbastanza spesso nelle pasticcerie che fanno farciture di produzione propria, quasi mai nei bar e a volte nelle gelaterie, dove può avere un ruolo per la stabilizzazione di alcuni preparati. Potremmo dire che come strumento non è indispensabile, ma può essere estremamente utile sia per preparazioni altamente deperibili sia per evitare sprechi, magari surgelando (quelli a temperatura negativa) piccole quantità che ci sono avanzate. Inutile ricordare che in questo caso dovremo mettere una etichetta che ci dica cos’è che abbiamo surgelato, che ci dia indicazioni sulla tracciabilità (il numero di lotto se si parla di carne o di formaggi) la provenienza e una indicazione sul quando si andrà a consumare…
Eventuali preparazioni che contiamo di fare con l’abbattitore andranno naturalmente specificate sul manuale di autocontrollo.
Sono preparato eccome! E posso dire che questo strumento tecnologicamente molto avanzato non costa poco, sopratutto per le piccole economie di un bar.
Diciamo che il costo varia molto a seconda della quantità che può raffreddare o congelare, quantità che di solito vengono calcolate in “teglie” che possiamo inserire all’interno. Quelli più piccoli, che possono andar bene per bar/pasticceria con un buon lavoro, ma non enorme, si trovano nuovi sui 1.400/1.800€, e di solito sono calcolati da 5 teglie. Non sono molti sul mercato, ma esistono, anche abbattitori casalinghi, calcolati in tre teglie e con costi intorno ai mille Euro, costi che probabilmente caleranno una volta che questo strumento aumenterà la sua diffusione commerciale. Si trovano comunque abbastanza bene anche abbattitori di temperatura da bar usati.
In realtà a non molto, come dicevamo prima sono strumenti molto potenti, ma non veramente complessi. E’ da considerare che tecnicamente funzionano come congelatori che forzano il passaggio dell’aria, in modo da “rubare” più caldo possibile all’alimento. Dovrà quindi essere controllato se griglie e motori sono puliti e ben funzionanti. Se dovessi comprarne uno usato vorrei, prima dell’acquisto, provarlo, proprio raffreddando un prodotto, per capire se i requisiti sono quelli giusti.
Potete contattare Michele Marsi, il biologo che si è gentilmente prestato a questa intervista, a [email protected]
347 1224060
Al mondo dell’HACCP abbiamo già dedicato molti post, e senz’altro molti dei nostri lettori vi hanno già familiarizzato, tanto da sapere che, per ottemperare a quanto richiesto, bisogna stendere un “Piano di autocontrollo” un documento che individua, valuta e predispone azioni correttive per i rischi di carattere igienico sanitario (ne parliamo più diffusamente in questo post).
Se l’HACCP si occupa di aspetti igienico sanitari, e quindi di salvaguardare la sicurezza “della nostra pancia”, c’è un’altro settore della legislazione per aprire e gestire un bar che ha a che fare con gli infortuni che in una attività che fa ospitalità possono accadere, sia a chi vi lavora sia a chi frequenta il locale.
Questo settore trova la sua regolamentazione nel Decreto. Legislativo 81/08, il cosiddetto Testo Unico della Sicurezza.
Di questa legge abbiamo ampiamente parlato in questo post, e abbiamo visto come, fra gli adempimenti che essa comporta, c’è quello di dotare la propria attività di un DVR, un Documento di Valutazione Rischi. Questo documento andrà, appunto, a valutare i pericoli che potrebbero conclamarsi e individua comportamenti, buone norme e presidi che possono evitare che questi pericoli si concretizzino in un infortunio.
In questo post vedremo quindi come si prepara e si scrive un DVR per un bar o un locale.
Come dicevamo, il DVR (Documento di Valutazione Rischi) ha lo stesso scopo di un piano di autocontrollo per l’HACCP, ma in questo caso ha a che fare con i rischi di carattere infortunistico.
Nello specifico si tratta di una relazione, di un documento che deve essere obbligatoriamente presente all’interno del locale e deve essere sempre a disposizione per eventuali controlli.
Nello stenderlo dobbiamo considerare che ha per oggetto l’individuazione di tutte le possibili fonti di rischio presenti nel nostro locale o insite nello svolgimento del lavoro. Rischi che potrebbero portare a infortuni, danni alla salute o a malattie professionali. In un locale, bar o ristorante che sia, potenziali fonti di infortuni potrebbero essere, ad esempio:
Tagliarsi mentre lavoriamo i cibi
Scottarsi con padelle e friggitrici,
Scivolare, magari mentre trasportiamo carichi o scendiamo scale di magazzini e salette.
A questi rischi, tipici del nostro lavoro, dovremmo elencarne sul nostro documento anche altri, di carattere più generale, ad esempio il rischio legato agli impianti elettrici agli impianti del gas, alla presenza di eventuali sostanze tossiche (per esempio per la pulizia) alla scarsa illuminazione o ancora ai mezzi di trasporto se facciamo del take away.
Una volta individuate queste fonti di rischi, sarà il momento di elencare i correttivi che intendiamo applicare per “disinnescarli” ad esempio mettendo strisce antiscivolo sulle scale, predisponendo con gli appositi salvavita gli impianti elettrici, apprendendo le corrette tecniche di taglio dei cibi o usando abbigliamento apposito (grembiuli e guanti in maglia di acciaio…) e ancora formando il personale con corsi che li responsabilizzino in questo senso.
CHI DEVE FARE IL DVR
Questo documento è obbligatorio per tutti i bar e locali che abbiano dipendenti e perfino soci lavoratori. Predisporre questo documento dovrebbe essere obbligo del RSPP (figura di cui abbiamo parlato in questo post), ma spesso sono aziende di consulenza per il lavoro a farsene carico. In realtà il proprietario ha l’obbligo di farsi seguire nella stesura di questo documento da un tecnico solo nel caso il suo locale abbia almeno 10 lavoratori (compresi titolari e soci) mentre sotto questo numero il locale può predisporre un’autocertificazione semplificata anche se, per semplificarsi la vita, si finisce per farlo preparare comunque da un tecnico esterno. In ogni caso si hanno 90 giorni dall’apertura del locale per redigere il documento.
QUANTO COSTA IL DVR
Come sempre, non è facile avere prezzi da internet, anche perchè il costo di questo documento è legato alla complessità del locale valutato. Da alcune ricerche fatte diciamo che, parlando di piccoli bar, abbiamo trovato preventivi da 200 a 400€.
E’ da notare che il documento (di cui proviamo a compilare insieme un esemplare durante i nostri corsi full immersion di “Apertura e gestione Bar“) non ha scadenza,semmai può essere da aggiornare nel caso alcuni fattori cambino (ristrutturazioni, nuovi piatti o metodologie utilizzate…)
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